Da La Repubblica del 11/06/2004

Il nuovo islam d´Europa

Un convegno al Centro "Edoardo Agnelli"

Molti giovani musulmani sono cresciuti nei paesi industrializzati fra integrazione e marginalità
In diversi casi conoscono poco o male la loro terra d´origine
Il desiderio di partecipa alla vita pubblica di ragazzi e ragazze

di Massimo Novelli

TORINO - Molti di loro sono nati e hanno studiato in Europa. Altri, immigrati da ragazzi, hanno compiuto una parte importante della loro formazione nel vecchio continente. Sono i giovani musulmani che vivono in Francia (circa un milione e mezzo), in Germania (un milione e 400 mila), nel Regno Unito (900 mila) e in Italia (300 mila, di cui quasi la metà scolarizzata nel nostro Paese). A differenza dei loro genitori quasi tutti sono cittadini delle nazioni in cui risiedono, ne sono influenzati nelle scelte di vita e nei costumi, sperimentano sulla loro pelle luci e ombre dell´Occidente, fra partecipazione e ovviamente anche marginalizzazione. In diversi casi conoscono poco o male la loro terra d´origine, entrando spesso in contrasto con le pratiche più tradizionali e ortodosse degli anziani. Anche il loro approccio alla religione si distacca da quello del passato, non transitando necessariamente attraverso le moschee.

A questo nuovo Islam d´Europa, un universo complesso e variegato che, oltre i luoghi comuni, i conflitti e i fondamentalismi, può avere un grande ruolo nel processo di integrazione e di scambio fecondo con i valori e le culture delle società europee, è dedicato il convegno internazionale Giovani musulmani in Europa. Tipologie di appartenenza religiosa e dinamiche socio-culturali, che si svolge oggi a Torino per iniziativa del Centro di studi religiosi comparati «Edoardo Agnelli». Si tratta di una giornata di studi nel segno dell´ attualità, che vede la partecipazione di studiosi quali Jocelyne Cesari, Alexandre Caeiro, Yunas Samad, Czarina Wilpert, Chantal Saint-Blancat, Renzo Guolo, Annalisa Frisina, Michael Andenna, e che ha al suo centro il tema del dialogo possibile. Quello che Andrea Pacini, direttore del centro torinese che porta il nome del figlio dell´avvocato Giovanni Agnelli, sintetizza così: «La costruzione di un Islam Europeo, di un Islam compatibile con i valori e i principi delle società e delle culture d´Europa, è una possibilità proiettata al futuro. Ma è una possibilità concreta, della quale già oggi si intravedono alcune premesse nel modo nuovo di vivere l´Islam e il rapporto fra fede e società che è proprio della maggioranza dei giovani musulmani nati o scolarizzati nei paesi europei. E il ritardo dell´Italia, rispetto ad altre nazioni per quanto concerne l´immigrazione musulmana, può essere una risorsa».

Ma, prima di tutto, bisogna capire come si articola il giovane Islam d´Europa, attraverso quali leadership si struttura (è l´argomento affrontato da Jocelyne Cesari, dell´Università di Harvard), in quali maniere si afferma l´identità religiosa dei musulmani «europeizzati» in Francia, in Gran Bretagna, in Italia, nella Germania della prevalente immigrazione turca. Con la consapevolezza che le stesse forme dell´espressione e dell´appartenenza islamiche, nell´era della globalizzazione, sono state mutate in profondità. Tanto che, dopo gli attentati dell´11 settembre, come nota Cesari, per la prima volta si è assistito a una opposizione fra musulmani «locali» e musulmani «stranieri». Qualche approssimazione attendibile alla composizione effettiva del mondo dei giovani immigrati, in ogni caso, c´è. Una, in particolare, sembra imprescindibile: secondo gli organizzatori del convegno torinese, «parlare di Islam dei giovani significa parlare di un´identità religiosa che si articola in termini personali e relazionali, spesso in contraddizione con l´Islam etnico», quello dei vecchi emigrati. Le alternative, ora, possono essere un Islam secolarizzato e un Islam ortodosso, che, pur avendo al suo interno correnti fondamentaliste, non va confuso tout court con esso.

Si sa, certamente, che le situazioni di precarietà, di disoccupazione, di ghettizzazione, soprattutto nelle periferie di metropoli come Londra e Parigi, possono rappresentare il terreno fertile per abbracciare le posizioni radicali dell´estremismo islamico. Per contro, però, il desiderio di partecipazione delle ragazze e dei ragazzi arrivati dal Marocco, dall´Algeria, dalla Tunisia, alla vita pubblica - scolastica, sindacale, associativa in generale - dei paesi europei in cui vivono, va senza dubbio nella direzione auspicata dai fautori dell´incontro e del dialogo. Valga a esempio quanto ha detto, a un convegno, un dirigente dell´associazione dei giovani musulmani in Italia, citato nell´intervento di Annalisa Frisina, dell´Università di Padova: «Storicamente la forza dell´Islam è stata quella di saper riconoscere e assorbire il positivo delle culture che ha incontrato. Credo che noi dobbiamo continuare così, riconoscendo i valori altrui, imparando ancora e dando il nostro contributo». È un´affermazione tesa alla collaborazione e al riconoscimento reciproco, alla rottura della solitudine e dell´isolamento dei musulmani, che un altro membro di un raggruppamento giovanile islamico, sempre a quell´incontro, completava in questo modo: «Qui ci sono tante persone di buona volontà che difendono la società occidentale dai suoi mali e lavorano con noi».

L´Italia, del resto, alla luce della sua ancora giovane esperienza in materia di immigrazione musulmana, ha una opportunità notevole per alimentare l´integrazione, il dialogo, lo scambio, la convivenza. E può mettere in atto politiche efficaci, sgombrando intanto il campo dagli equivoci e dagli stereotipi con effetti pericolosi. Quelli, tanto per ricordare il più diffuso, che potrebbero essere ingenerati dall´identificare Islam e mondo delle moschee. Avverte Pacini a questo proposito: «Considerare le moschee come uniche rappresentanti dell´Islam in Italia, potrebbe ostacolare il processo di formazione di un Islam italiano ed europeo. Occorre invece elaborare rapporti flessibili e articolati, che consentano spazi di crescita e di espansione a quelle forme di Islam, già diffuse e talvolta prevalenti, ma non ancora organizzate». Avendo ben chiaro, poi, che «l´integrazione dei musulmani non si misura con l´abbandono della fede e delle pratiche religiose pubbliche. Queste devono essere consentite in modo compatibile agli ordinamenti giuridici e sociali europei, in maniera che i musulmani maggiormente praticanti non siano marginalizzati e condotti perciò a un Islam oppositivo». Chi fa la guerra al velo delle donne islamiche, come è accaduto anche di recente, inconsapevolmente o meno lavora per i signori della guerra.

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