Da Corriere della Sera del 07/06/2004
DIPLOMAZIA
Il sì alla risoluzione adesso è più vicino
Il rappresentante americano all’Onu Negroponte spera che il testo venga approvato già martedì
di Ennio Caretto
CAEN (Normandia, Francia) - Dopo l’intenso lavoro diplomatico culminato negli incontri in Francia per il D-Day, gli Stati Uniti sperano ormai che una nuova risoluzione dell’Onu sull’Iraq sia approvata già martedì, prima dell’inizio del vertice del G8 in Georgia. Ad indicarlo è stato ieri notte John Negroponte, rappresentante permanente Usa all’Onu, al termine della riunione a New York del Consiglio di sicurezza, in cui è stato discussa la lettera del premier iracheno Iyad Allawi alla coalizione angloamericana. Già nelle ore precedenti, il segretario di Stato Colin Powell e il consigliere della Casa Bianca Condoleezza Rice si erano detti ottimisti sull’imminente sì alla risoluzione. Entrambi avevano lasciato intendere che all’Eliseo Bush ha ottenuto da Chirac l’assicurazione, anche a nome di Berlino, che la terza bozza presentata da Usa e Gran Bretagna sarà approvata.
È un grosso risultato: se la missione europea di Bush (riprendere il dialogo con Parigi) fosse fallita, ci sarebbe stato scontro al G8 che inizia domani. Ma sui punti da chiarire la Casa Bianca mantiene il riserbo. Il nodo sembra la lettera di Allawi alla coalizione, in cui il premier chiede che le truppe in Iraq non se ne vadano. Allawi ha dichiarato che «basterà una cooperazione completa e dettagliata» fra il suo governo e gli alti comandi angloamericani. Ma Francia, Russia, Cina e altri Paesi vogliono essere certi che ciò non incida sulla sovranità irachena, come ha ammonito Chirac.
Allawi e Powell hanno suscitato qualche incertezza sostenendo che le truppe potrebbero restare in Iraq, su invito di Bagdad, ben oltre il 2005. Il premier iracheno ha spiegato che dopo quella data il Paese «potrebbe non essere in grado di provvedere alla sua sicurezza». Powell ha detto che nel 2006 «il governo iracheno sarebbe libero di stipulare un accordo con noi per permettere alle nostre truppe di rimanere più a lungo, come abbiamo fatto in Corea e altrove». Questo escluderebbe un altro ricorso all’Onu e consentirebbe agli alleati, Italia compresa, di richiamare le forze. Un’eventualità però sgradita a Parigi e ai suoi alleati.
Sugli altri terreni, Bagdad ribadisce invece la sua autonomia. Il vicepresidente Ibrahim Jaafari ha chiesto che sia revocata l’immunità delle guardie private Usa in Iraq. Il ministro della giustizia Dohane al Hassan ha comunicato che sarà ripristinata la pena di morte abolita dalla coalizione: «È possibile - ha detto - che sia imposta tra i primi a Saddam».
È un grosso risultato: se la missione europea di Bush (riprendere il dialogo con Parigi) fosse fallita, ci sarebbe stato scontro al G8 che inizia domani. Ma sui punti da chiarire la Casa Bianca mantiene il riserbo. Il nodo sembra la lettera di Allawi alla coalizione, in cui il premier chiede che le truppe in Iraq non se ne vadano. Allawi ha dichiarato che «basterà una cooperazione completa e dettagliata» fra il suo governo e gli alti comandi angloamericani. Ma Francia, Russia, Cina e altri Paesi vogliono essere certi che ciò non incida sulla sovranità irachena, come ha ammonito Chirac.
Allawi e Powell hanno suscitato qualche incertezza sostenendo che le truppe potrebbero restare in Iraq, su invito di Bagdad, ben oltre il 2005. Il premier iracheno ha spiegato che dopo quella data il Paese «potrebbe non essere in grado di provvedere alla sua sicurezza». Powell ha detto che nel 2006 «il governo iracheno sarebbe libero di stipulare un accordo con noi per permettere alle nostre truppe di rimanere più a lungo, come abbiamo fatto in Corea e altrove». Questo escluderebbe un altro ricorso all’Onu e consentirebbe agli alleati, Italia compresa, di richiamare le forze. Un’eventualità però sgradita a Parigi e ai suoi alleati.
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