Da La Repubblica del 05/06/2004

Licenziati due ministri di estrema destra contrari al progetto. Domani il voto ma si rischia la crisi

Sharon rimpasta il governo per il piano di ritiro da Gaza

Possibile l´uscita dalla coalizione del partito nazional-religioso

di Alberto Stabile

GERUSALEMME - Uno, più attento alla forma fisica, s´era rifugiato nel fitness club di un grande albergo cittadino. L´altro, più sensibile al richiamo dell´ideologia, s´è nascosto nell´insediamento di Netzarim, a Gaza, per non farsi trovare dai messi del primo ministro che avevano l´ingrato compito di notificare ai due esponenti del Partito di Unione Nazionale, Avigdor Lieberman, Trasporti, e Beny Elon, Turismo, il loro licenziamento dal governo firmato Ariel Sharon. Il primo è stato rintracciato, il secondo no.

Così, l´ultima mossa escogitata dal premier per fare in modo che, domani, al Consiglio dei ministri, il suo "Piano di disimpegno" passi con una risicata maggioranza di 11 contro 10, s´è trasformata in una specie di inseguimento alla "guardie e ladri" che forse aiuterà Sharon a salvare il suo piano, ma potrebbe far piombare il paese in una grave crisi politica. Non che saranno in molti, in Israele, a stracciarsi le vesti per la cacciata di Lieberman ed Elon o per la forzata fuoriuscita del partito di Unione Nazionale dal governo. Per dirla in breve si tratta di un "partitino", nato in anni di riflusso conservatore, che ha trovato la sua ragion d´essere pescando tra i residui ideologici dell´estrema destra ed è oggi portatore di un programma razzista che si propone il trasferimento dei cittadini arabi israeliani nei territori occupati.

Tuttavia, Sharon non aveva mai avuto nulla da ridire verso il partito di Unione Nazionale e la sua ideologia estrema, finché i due ministri, da sempre schierati con i settlers, la Terrra d´Israele, l´illimitata proliferazione degli insediamenti e contro il processo di pace, non hanno dichiarato di opporsi al piano di ritiro. Ma Sharon è stato netto: «Domenica ho bisogno di una maggioranza» e, sulla carta, finalmente ce l´ha: per sottrazione, diremmo, avendo tagliando le teste di due oppositori, così ridotti da 12 a 10.

Qui sorge una prima domanda: può Sharon, pur nell´urgenza di salvare il suo piano e di non perdere la faccia con il mondo intero, ma soprattutto con gli alleati e protettori americani, licenziare un partito membro della coalizione, per piccolo che sia, come fosse una donna di servizio, solo perché non gli fa più comodo? E ridurre il tutto a un calcolo di favorevoli e contrari senza conseguenze per la stessa maggioranza? In realtà eliminando il dissenso di Lieberman e Elon, Sharon ha risolto solo una parte dei suoi problemi. L´approvazione del piano porterà, infatti, per lo meno ad una spaccatura all´interno dell´altra formazione di estrema destra, il Partito Nazionale Religioso, che, con ogni probabilità, finirà con l´uscire dalla coalizione.

Infine, Sharon ha fallito nel tentativo di far rientrare il dissenso dei quattro ministri ribelli, Netanyahu, Finanze, Shalom, Esteri, Livnat, Educazione e Naveh, Sanità appartenenti al suo stesso partito.

La proposta di mediazione escogitata da Zippi Livni, una fedelissima del Primo ministro, si basava su una formula dilatoria che avrebbe, di fatto, rinviato di sei mesi l´approvazione della prima fase del piano. E con l´incongruenza di non congelare i finanziamenti diretti a quegli stessi insediamenti destinati ad essere distrutti. Il premier ha ribattuto che questo non era un accordo ma una farsa e l´ha bocciato.

Dietro il dissenso dei quattro ministri aleggia, però, una spaccatura profonda nel Likud che non tarderà ad affiorare quando il piano arriverà in Parlamento, forse già la settimana prossima. Ma è probabile che neanche allora Sharon andrà dal presidente per rassegnare le dimissioni. Piuttosto è probabile che asseconderà la voglia di governo di Shimon Peres e dei Laburisti, trasformando una crisi esplosa su un problema cruciale per il futuro d´Israele in un molto meno nobile ribaltone.

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