Da Corriere della Sera del 04/06/2004

Il piano politico contro Roma

di Magdi Allam

Perché gli italiani? Perché i nostri connazionali sono gli unici, tra le decine di ostaggi stranieri rapiti in Iraq, a venir strumentalizzati in una disumana e logorante manovra politica per umiliare e ricattare il governo di Roma? Perché la nostra ambasciata a Bagdad viene pesantemente bombardata proprio ora che il piano di pace dell'Onu riduce il fossato tra maggioranza e opposizione? È evidente che ci troviamo di fronte a un sequestro del tutto anomalo nella sua ideazione, gestione e finalità. Così come è chiaro che l'attacco all'ambasciata si colloca in una unica strategia del terrore volta a costringere l'Italia a ritirare le proprie forze dall’Iraq. C'è il timore che i terroristi vogliano usare le vite dei nostri ostaggi come le bombe sui treni di Madrid. Insomma un 11 marzo italiano. Un piano preannunciato nel documento strategico di Al Qaeda dello scorso 8 dicembre, («L'Iraq della Jihad: speranze e pericoli»), in cui si puntualizzava: «Confermiamo che il ritiro delle forze spagnole e italiane dall'Iraq costituirà una formidabile pressione sulla presenza britannica che Tony Blair non riuscirà a sopportare. E' in tal modo che cadranno rapidamente le altre tessere del domino». Dello stesso tenore sono le posizioni espresse nei documenti della sedicente Resistenza irachena. L'offensiva contro gli italiani in Iraq si colloca in questo contesto politico.

Ormai nessuno in Italia dubita del fatto che la peculiarità del sequestro dei nostri connazionali si deve alla sua natura esclusivamente politica. Che non ha nulla a che fare con la gran parte dei sequestri risoltisi con il pagamento di un lauto riscatto in denaro. Un fenomeno inedito e inspiegabile persino alle forze irachene che hanno finora svolto la mediazione con i sequestratori, compreso il Consiglio degli ulema musulmani (formato da giureconsulti di confessione sunnita). Forze che a distanza di un mese e mezzo non sono riuscite neppure a individuare un referente credibile con cui trattare.

E' forte il convincimento che Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio siano nelle mani di ex agenti dei Mukhabarat, i famigerati servizi segreti di Saddam Hussein. L'ultimo video che li ritrae con la parete spoglia alle spalle, onde evitare qualsiasi tratto distintivo, ricorda la scelta coreografica degli ultimi messaggi registrati di Saddam dai suoi bunker sotterranei. Ma è anche evidente la presenza degli estremisti islamici di Al Qaeda tra i sequestratori. I più intransigenti. Quelli che avrebbero tutto da perdere dall'eventuale stabilizzazione e pacificazione dell'Iraq. Che stanno imponendo a suon di pene corporali la sharia, la legge islamica, all'interno di Falluja. Esaltata come la loro roccaforte «martire» e «inespugnata». E' questa doppia anima che convive all'interno della sigla «Brigata Verde», che ha rivendicato il sequestro.

Una testimonianza ci viene anche dal cambiamento nella scelta del canale di diffusione dei messaggi: prima la rete televisiva Al Jazira il 13 aprile, più vicina agli islamici; poi Al Arabiya il 26 aprile, preferita dagli ex baasisti iracheni; per poi tornare a Al Jazira il 2 giugno. Ugualmente nessuno più dubita del fatto che dietro al sequestro ci sia una mente e una regia «italiana». Nel senso che i terroristi hanno dimostrato una indubbia capacità di lettura, interpretazione e manipolazione della nostra realtà politica. Con una tempestività impressionante. È del tutto scontato che tra i sequestratori ci sia qualcuno che capisce l'italiano. Perfettamente. Perché non si tratta solo di controllare ciò che è stato consentito di dire a Stefio davanti alla telecamera. Bensì di redigere il testo di quegli interventi. Con dei contenuti appropriati e con una forma impeccabile.

Ed è qui che si pone un problema. È verosimile che un iracheno, magari un ex agente dei Mukhabarat attivi in Italia sotto il regime di Saddam, possa aver acquisito un alto livello di competenza della nostra politica e di padronanza della nostra lingua, al punto da poter competere con un italiano autoctono? È un'ipotesi debole. L'attività fondamentale dell'ambasciata irachena a Roma non era affatto quella di monitorare la vita politica italiana.

L'unico aspetto della realtà interna del nostro Paese che interessava allora era l'acquisto degli armamenti. Il compito istituzionale dell'ambasciata era il controllo e la repressione dei dissidenti iracheni residenti in Italia, nonché lo spionaggio delle altre ambasciate arabe. Ecco perché il livello di conoscenza della lingua italiana sia dei diplomatici sia degli agenti segreti iracheni era scarso. Con rare eccezioni. Ma è indubbio che l'ambasciata godeva di una rete di collaboratori, tra la folta comunità araba da anni residente nel nostro Paese, tra cui alcuni con una buona conoscenza della lingua e della politica italiana. Così come è assodato che in seno a talune frange di estrema sinistra e estrema destra italiane ci siano dei militanti convinti della giustezza della causa della Resistenza irachena, al punto da plaudire e legittimare la strage dei carabinieri a Nassiriya. E' comunque in questo contesto che si sta consumando il dramma dei nostri connazionali e l'offensiva che ha come bersaglio la presenza dei nostri soldati in Iraq.

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