Da La Repubblica del 02/06/2004

Il suggeritore inesistente

di Giuseppe D'Avanzo

C´È davvero un italiano tra gli assassini di Fabrizio Quattrocchi? Non un iracheno che conosce l´italiano per avere qui da noi studiato o lavorato, ma un italiano italiano, nato italiano, di lingua italiana, con una famiglia e una storia e un passaporto italiano, un tipo che combatte e uccide con i mujahiddin per scelta politica e ideologica. Lo dicono autorevoli fonti di informazione, quali sono il Corriere della Sera e Porta a Porta. Vale la pena prendere molto sul serio la notizia (gravissima, inquietante) chiedendosi quali sono le evidenze del fatto.

Che cosa conferma che tra gli assassini di Quattrocchi ci sia un italiano?

Breve storia della notizia e dei suoi autori. La notizia viene diffusa con la certezza dell´indicativo dal Corriere della Sera, lunedì 31 maggio. L´editorialista e vicedirettore Magdi Allam, che il Foglio definisce "la massima expertise oggi disponibile in materia", riferisce informazioni d´"una fonte dei nostri servizi segreti" che gli permettono di ricostruire in modo contrario all´ufficialità quel che si vede nel video della morte di Fabrizio Quattrocchi. Ecco come.

"La saldatura tra il terrorismo islamico e internazionale - scrive Allam - è documentata nel video, mai diffuso in pubblico, dell´esecuzione di Quattrocchi il 14 aprile. In esso, stando alla rilevazione d´una fonte dei nostri servizi segreti, quando Quattrocchi fu consapevole della sua imminente esecuzione, disse: ?Ora vi faccio vedere come muore un italiano´. A questo punto Quattrocchi tentò di togliersi il cappuccio che gli copriva la testa chiedendo: ?Posso? ´. Ebbene, uno dei sequestratori in perfetto italiano, gli rispose ?Neanche per sogno´. Un´espressione che, secondo gli esperti dell´intelligence, appartiene a qualcuno che è di madre lingua italiana. Si comprende bene come il vero motivo per cui la televisione Al Jazeera rifiutò di trasmettere quel video, è perché svela la presenza d´un italiano tra i terroristi delle sedicenti Brigate Verdi che ha rivendicato il sequestro dei nostri connazionali".

Un italiano tra i terroristi della sedicente Brigate Verdi, dunque. La rivelazione della nostra intelligence, mai nemmeno accennata nelle periodiche riunioni del Comitato di controllo parlamentare, è netta. Allam la raccoglie e la rilancia senza il beneficio del dubbio. Al Jazeera, con la voce di Imad El Atrache, smentisce: «Non c´è nessuna parola italiana e nessun italiano che parla nel video». Smentita netta.

Ora quel terribile video non è sconosciuto al governo italiano. È stato visto, in due occasioni dall´ambasciatore del nostro Paese in Qatar, Giuseppe Buccino Grimaldi. E ancora dal consigliere diplomatico del presidente del Consiglio, Gianni Castellaneta che a Doha era accompagnato dal suo collaboratore. E infine, tra il 17 e il 18 maggio, dal sottosegretario agli Esteri Margherita Boniver accompagnata da alcuni membri del suo staff. Ci sono dunque almeno più di tre fonti dirette e qualificate che possono smentire Al Jazeera e confermare le rilevazioni consegnate ai media dall´intelligence militare. Conviene interpellarne qualcuna. Buccino Grimaldi risponde che «non è autorizzato a rilasciare dichiarazioni». Castellaneta è irraggiungibile (al concerto del Quirinale). La Boniver non ritiene di «poter entrare nel merito del video per lo scrupolo di danneggiare la situazione dei connazionali ancora prigionieri». Il sottosegretario agli Esteri, comunque, informa d´aver riferito quel che ha visto al pubblico ministero di Roma Franco Ionta e al procuratore generale Salvatore Vecchione.

Non si riesce a comprendere tanta discrezione "ufficiale" (perché, ufficiosamente, ci sono perlomeno due fonti tra gli italiani che hanno visto il video e smentiscono nella maniera più categorica che si oda quella frase - "nemmeno per sogno" - in italiano). È un fatto che agli investigatori che si sono occupati e s´occupano della morte di Fabrizio «non risultano altre frasi in italiano nel video se si escludono quelle di Quattrocchi». Ora, delle due l´una. O l´italiano tra gli assassini di Quattrocchi c´è e le autorità di governo avrebbero l´obbligo di confermare la circostanza, perché quella liason, già crudelmente operativa, tra terroristi islamici e terroristi domestici esiste. È il "salto di qualità" dell´aggressione islamica all´Occidente. È una circostanza, che tra i tanti allarmi diffusi nell´ultimo anno dall´intelligence, meriterebbe un suo rilievo perché ci permetterebbe di comprendere meglio il pericolo che può aggredire il nostro Paese e minacciare gli italiani. Imporrebbe, per dirne una, una più dinamica iniziativa del ministero di Giustizia che invece da un mese non ha dato alcun corso alla richiesta della Procura di Roma di acquisire il video nel regime "di cortesia internazionale" che oggi regola i rapporti tra l´Italia e il Qatar.

O l´italiano, tra gli assassini di Quattrocchi, non c´è e non c´è mai stato. Perché non c´è nessuna frase in italiano nel video tra il «Posso?» di Quattrocchi che tenta di liberarsi del cappuccio e il colpo di pistola che lo uccide. Ma, in questo caso, perché non confermare la ricostruzione di Al Jazeera, perché non ribadire la ricostruzione ufficiale della Farnesina, basata sulla relazione dell´ambasciatore Buccino Grimaldi e non smentita da Castellaneta? Perché non eliminare quell´ambiguità che rischia di diventare un incubo nei nostri giorni, come se ci fosse bisogno di nuovi artificiosi incubi?

Questa storia dell´italiano tra gli assassini di Quattrocchi è soltanto l´ultimo episodio di una campagna di disinformazione che, nella comunità dell´intelligence, ha anche un nome: "rumint", rumors intelligence, l´intelligence delle "voci", dei "si dice". Si prende una voce verosimile (che ci sia nel commando un guerrigliero che conosce la nostra lingua è ragionevole pensarlo dopo aver ascoltato il lungo appello tv di Salvatore Stefio). Si consegna quel verosimile "si dice" ai media. I media lo rilanciano e il "si dice" ingrassa a certezza non discutibile. Questa certezza indiscussa diventa il perno intorno a cui ruota il dibattito pubblico, il confronto tra il governo e l´opposizione, tra la maggioranza e l´opinione pubblica. È una certezza che manipola la realtà, confonde il merito, costruisce fantasmi. Lunedì se ne è avuto un esempio. La mattina il Corriere della Sera dà la notizia della presenza dell´italiano nel commando. A sera, il servizio pubblico con Porta a Porta (dove Allam è consulente) discute con esponenti del mondo politico della novità delle relazioni del terrorismo islamico con frange domestiche italiane. Nessuno che si chieda se la notizia ha un qualche fondamento. La si dà per scontata. Quel che conta è l´esito politico. Il metabolismo sociale è già stato avvelenato. Il giorno dopo, ieri, si è potuto leggere sui quotidiani qualche titolo di questo genere: "Italiani in Al Qaeda, ecco le prove". O: "L´italiano in Algeri". Sotto il quale si legge: "Se ci fossero un paio di italiani che hanno preso sul serio se stessi quando parlano di ?resistenza irachena´ e inneggiano alla rivolta armata del dopo Saddam, e sono andati in loco a provvedere, a raccogliere ostaggi, a tirare sulle nostre basi Libeccio e Maestrale, avremmo una dimostrazione circolarmente perfetta di quanto grande sia ormai il peso della cultura antagonista che minoranze di quel tipo rivelano a tutti noi in un´allarmante chiarità. Speriamo che sia una commedia. Ma ci permettiamo di dubitarne, dato il nesso notorio tra le parole e le cose".

La notizia partorita dalla "rumint" è ormai nel circuito e conta il succo politico che se ne può trarre. Quello della presenza di un italiano nel commando assassino delle Brigate Verdi è in luce, semplificatorio, liquidatorio: chi contesta la presenza americana a Bagdad è complice degli assassini. Chi è stato contro quella guerra, ieri, era un sostenitore del dittatore Saddam; oggi, è il brodo di cultura di chi dall´Italia offre la sua determinazione per affrontare armi in pugno l´occupante. Anche quando si tratta della forza di pace tricolore.

Questa strategia di disinformazione è parte integrante della guerra che si combatte. Farà bene a tenerlo a mente, isolando i provocatori, i casseurs, i vestiti di nero, le teste calde, chi oggi e il 4 giugno andrà alle manifestazioni in nome della pace.

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