Da La Repubblica del 11/05/2004

L´alleato ininfluente

di Guido Rampoldi

Non fatichiamo a credere che il governo italiano ignorasse le torture praticate in Iraq: ma questo non rende meno desolante la condizione del nostro stare laggiù. Semmai ci conferma che siamo prestatori d´opera in un´impresa sulla quale non abbiamo un controllo effettivo, mozzi in un vascello la cui rotta è decisa ora dai venti, ora dall´esito dei conflitti in corso tra i troppi dignitari americani che si contendono la barra. E ogni qualvolta proviamo a fingerci luogotenenti di lungo corso, rimediamo una figura misera. Intervistato dal Riformista (3 maggio), il ministro degli Esteri Frattini assicurava: «L´amministrazione Bush ha ascoltato noi italiani e gli inglesi? avevamo detto? non attaccate le città sante, e l´hanno fatto».

Neppure quarantott´ore dopo carri armati e marines entravano nella città "santa" per gli sciiti, Kerbala. Tra la pubblicazione dell´intervista e gli scontri di Najaf il governo italiano è riuscito a perdere la competizione con l´Egitto, potenza non trascendentale, per la sede della Fondazione Euromediterranea; e Frattini ha mandato in libreria un suo testo in cui il prefatore Silvio Berlusconi annuncia: per decenni sullo sfondo anche per colpa dei formicolanti comunisti, «l´Italia ha deciso di svolgere un ruolo di primo piano. E ci è riuscita». Oggi è definitivamente chiaro che il governo Berlusconi non ha i mezzi, l´autorevolezza e la politica adeguati ad un obiettivo così ambizioso. Quel che aveva, l´ha dilapidato. Ha perso influenza in Europa e nel Mediterraneo senza acquistarne a Washington. Non è minimamente nelle condizioni di ottenere da Bush il siluramento di Rumsfeld, e quel che è peggio, non ha neppure la dignità di chiederlo. Così resteremo imbarcati su una nave che potrebbe rivelarsi un Titanic, sperando nello stellone.

Non possiamo certo far colpa a Frattini se l´influenza dell´Italia è al suo minimo storico. Il ministro è tormentato dal rovello che consegna ai tg: è l´islam compatibile con la democrazia? Dilemma non da poco, poiché se la risposta fosse «no», come Frattini sembra sottintendere, allora dovremmo capire che diavolo ci stiamo a fare in Iraq.

Ma a parte i suoi dubbi paradossali, il ministro degli Esteri sta cercando saggiamente di rincorrere come può la "vecchia Europa" che Roma aveva deriso insieme all´ilare Rumsfeld. Questi sforzi meritori scontano però un limite: il governo italiano non può mettere in discussione l´allineamento all´amministrazione Bush. Che non nasce da un calcolo strategico, modificabile in base all´interesse nazionale. Semmai da una berlusconiana ansia di prestigio nel mondo, ormai frustrata. E da un enorme investimento ideologico non revocabile in qualche mese. Essenzialmente populista, cioè vuota, la destra italiana ha cercato in Iraq una fondazione più eccitante dei pensieri popperiani di Pera e dintorni. Il successo di quell´avventura doveva consacrare un´idea forte del potere, una democrazia ?di guerra´ non impacciata da regole e mediazioni, una politica estera tutta imperniata sul propulsore di quel cambio epocale, l´amministrazione Bush. L´insuccesso ci lascia inchiodati ad un grande alleato, gli Stati Uniti, che non ha alcuna necessità di tenere in conto il nostro parere, vuoi perché non sediamo nel Consiglio di sicurezza, vuoi perché Berlusconi ripete che in Iraq resteremo comunque.

Avendo rinunciato in partenza al potere contrattuale che ci derivava dalla possibilità di ventilare un nostro disimpegno, non abbiamo alcuno strumento per influire sulla conduzione della contro-guerriglia in Iraq. Ove mai Rumsfeld e il Pentagono lo decidessero, il contingente italiano sarebbe obbligato dalla catena del comando a questa o quella operazione militare, fosse pure la più discutibile. Possiamo sperare, ma da spettatori, che il Consiglio di sicurezza metta in moto un processo virtuoso in Iraq. Allo stato la situazione pare difficilmente raddrizzabile. Forse i media occidentali sovrastimano le dimensioni della guerriglia e del consenso di cui gode (però molto più ampie di sei mesi fa, quando l´incauto Frattini giudicò "evento risolutivo" la cattura di Saddam). Ma le varie bande sono comunque riuscite a paralizzare la ricostruzione dell´Iraq. Per la "Coalizione dei volenterosi" questa è una sconfitta non meno catastrofica delle immagini delle torture accampate sugli schermi della regione: ferma l´economia, la miseria consolida l´insofferenza per la presenza straniera e moltiplica il nazionalista del tipo più pericoloso, il nazionalista disoccupato. Un governo iracheno rappresentativo, ammesso che l´inviato dell´Onu Brahimi riesca a formarlo, potrebbe forse placare alcune aree ribelli e permettere ai marines di ritirarsi nelle loro basi; ma non frenerebbe il nucleo duro della guerriglia dal lanciare attacchi contro eventuali "caschi blu" pachistani o marocchini incaricati dell´ordine pubblico. E finché la mischia resterà così incerta, gli oneri economici e militari d´una qualsiasi forza multinazionale con mandato Onu resteranno astronomici: difficile che una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza convinca altri Paesi ricchi a investire somme significative in un´impresa che sembra un pozzo senza fondo. Infine non si capisce come potrà essere risolto il paradosso americano, la contraddizione tra gli ideali rumorosamente sbandierati e gli interessi concretamente perseguiti. Gli ideali (e l´Onu) vogliono che gli iracheni siano presto liberi di scegliersi il loro governo. Ma stando agli umori della popolazione quali li fotografa un sondaggio Gallupp peraltro precedente allo scandalo delle torture, un governo davvero rappresentativo non sarebbe amichevole verso gli Stati Uniti, sia che lo scelga Brahimi in giugno sia che lo eleggano gli iracheni nel gennaio prossimo. Come certo risulta alla destra italiana, l´amministrazione Bush ha invaso l´Iraq per cause alte e nobili, pur se cangianti da stagione in stagione: ma Washington accetterebbe il rischio d´aver investito una fortuna per insediare un governo che potrebbe stracciare gli accordi militari e petroliferi? Rinuncerebbe alle cinque grandiose basi militari piantate al centro del Medio Oriente? Alle forniture di petrolio iracheno, ai giacimenti, a quella riserva strategica indispensabile per sottrarre ai sauditi il potere di calmierare o no il prezzo del barile?

Anche se Brahimi avesse una possibilità su dieci di riuscire a districarsi tra queste secche, quell´unica possibilità meriterebbe una scommessa. Ma com´era evidente anche prima che si conoscesse quanto avveniva nella prigione di Abu Ghraib, le residue speranze di stabilizzare l´Iraq poggiano su un cambio radicale non solo della politica americana ma anche della squadra che l´ha condotta. Licenziando Rumsfeld e qualche altro dignitario, l´amministrazione Bush avrebbe dato prova d´una certa resipiscienza; e forse avrebbe recuperato un po´ della credibilità internazionale malamente dilapidata negli ultimi due anni. Ma non ha colto l´occasione ed è improbabile che la coglierà in futuro, perché Bush è in campagna elettorale e perché le torture non sono tanto un incidente di percorso, quanto la deriva prevedibile della stessa cultura che ha prodotto Guantanamo, finanziamenti a polizie segrete centro-asiatiche, e in generale "un´indifferenza per la legge e le regole" (così l´ex capo della Cia, Turner). Quell´indifferenza non è estranea alla destra italiana, che infatti prima delle torture mai obiettò.

In queste condizioni anche la più efficace iniziativa Onu non farebbe miracoli. Nella migliore delle ipotesi avvierebbe una sorta di transizione verso il fatidico novembre, quando le presidenziali americane potrebbero insediare a Washington un´amministrazione più capace e più credibile. In altre parole una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza non sarebbe tanto quella "svolta radicale" attesa in Italia dal centrosinistra, quanto la premessa di quella svolta, possibile ma non certa. In assenza di alternative reali, il centrosinistra ha scommesso su quella possibilità. È stata una scelta responsabile. Ma avvicinandosi le elezioni europee una scommessa al buio non è una posizione forte, tantopiù se espressa da troppe voci difformi. E la sera del 12 giugno non sapremo soltanto quanto consenso resti alla maggioranza, ma anche quanto pesa ciascuna delle due opposizioni, una possibile sinistra liberale e una sinistra rosso-antico. Valutino Prodi e i suoi se a restare così responsabili non si rischi di consegnare irresponsabilmente l´europeismo e l´interesse dell´Italia a chi non ha gran dimestichezza con queste cose.

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