Da La Repubblica del 27/05/2004

Le foto della violenza una doppia barbarie

di Khaled Fouad Allam

MAI come oggi le violenze inflitte alle vittime nella guerra in Iraq assumono una nuova funzione: esibendo l´umiliazione rivelano il tentativo d´esercitare il male come forma di "purificazione della storia", in cui l´altro viene eliminato nella sua identità profonda. Che si aizzi un cane feroce ad avventarsi su un prigioniero inerme, o che s´obblighi un prigioniero ad abiurare la sua religione.

O che si sgozzi un cittadino americano scandendo «Dio è grande», questa violenza - che pur s´alimenta in una situazione precisa, in un particolare contesto e momento - va letta come una patologia dilagante che inquina sempre più le relazioni fra l´Islam e l´Occidente.

Si tratta di questioni gravissime, che non possono ridurre a episodi circoscritti nel tempo e nello spazio; perché esse sono assai preoccupanti. Queste due barbarie rischiano d´avere in futuro un effetto devastante se non sapremo contenerle. Molti hanno istituito un paragone con le torture in Algeria fra gli anni ?50 e ?60, in cui i francesi utilizzavano la famosa "gégéne", macchina elettrica che applicavano sulle parti intime del corpo per provocare sofferenze e umiliazioni ai prigionieri. Io, che sono d´origine algerina, posso testimoniare che mia zia, direttrice d´una scuola per infermiere, accusata di fornire personale e materiale paramedico al Fronte di liberazione nazionale, fu una delle prime a esser torturata dai francesi: fece 6 mesi di prigione. Ma allora la tortura si collocava nel quadro delle lotte coloniali, e s´inscriveva in una storia che stava portando una parte dell´umanità dalla colonizzazione alla decolonizzazione.

Oggi non è più così. La riproducibilità della tortura grazie alle videocamere e alle foto, e la diffusione delle immagini attraverso i media, non hanno solo finalità archivistiche o di strategia investigativa, ma portano a inscrivere la violenza in una memoria collettiva, che unisce vincitori e vinti, e in cui paradossalmente i corpi filmati perdono la loro materialità, la loro fisicità: non sono più oggetto ma diventano soggetto della storia, che non sarà più nascosto o cancellato ma potrà essere rivisitato e riprodotto nei quattro angoli della terra, scardinando il silenzio che in passato avvolgeva atti di quel genere, infrangendo le culture e la volontà di dimenticare. Si scopre allora che oggi esiste una tortura nella tortura, che si realizza svelando il segreto e togliendo il silenzio su quegli atti. Perché ciò che è proprio della tortura, che in essa si cela, è la vergogna inflitta alle vittime.

L´uso della videocamera, l´atto di filmare o fotografare, non si limita a veicolare un evento che si mostra davanti al mondo intero irrompendo nella storia; esso traduce qualcosa di inedito, che finisce per inscriversi nei nostri codici culturali, in occidente come nel mondo islamico. L´occhio della macchina diventa il prolungamento della nostra incapacità di comunicare fra le culture, perché esso è investito di una nuova funzione, quella di dare visibilità e spazio al conflitto fra le culture, esattamente come nella relazione fra totem e tabù: infrangendo i tabù, si gettano in primo piano sangue e sesso per totemizzare la relazione, oggi patologica, fra islam e occidente.

Siamo dunque in presenza di nuovi codici culturali che agiscono in negativo, e che sono inediti nella storia. In particolare nell´islam è sempre stata vietata la rappresentazione di corpi: corpi tout court, e dunque a maggior titolo dei corpi sofferenti. Non esistono nella tradizione islamica, a parte rarissimi casi, raffigurazioni di battaglie o di eccidi: la testimonianza di queste memorie si basa sulla narrazione orale, non sull´immagine. Dunque, nell´atto barbarico dello sgozzamento, colui che se ne è reso responsabile tradisce l´islam non solo per l´assassinio in sé, ma anche per il fatto di essersi fatto filmare.

E, tra gli occidentali in particolare, le foto o la videoregistrazione non mostrano soltanto l´oggetto, ma rivelano chi filma e di chi fotografa. Chi filma quegli orrori veicola tutto un sistema di rappresentazione su cui non si può tacere: un sistema di stereotipi, per cui il dialogo tra le culture e le religioni è impossibile, per cui l´Islam e i musulmani non cambieranno mai. Viviamo un momento in cui l´umanità non ama e non è amata.

Perché è legittimo parlare di due barbarie? Non perché si tratti di istituire delle simmetrie fra le sofferenze. Ma perché ogni atto barbarico cortocircuita la storia dell´umanità, ha la capacità di cancellare secoli di storia, di crescita, di umanesimo; annulla le conquiste dei diritti dell´uomo e della costruzione democratica nella storia dell´occidente; e nella storia dell´Islam esso ci fa ripiombare nell´"età dell´ignoranza" (jahiliyya), fa emergere quello che è denominato "il mondo selvaggio" (bilad al-siba), cancellando in un istante secoli di civiltà raffinata (adab). Perché la barbarie ci porta in un tempo senza storia, ci fa scivolare in una sorta di età primordiale in cui la ferocia domina il mondo.

Che fare allora dinanzi a tali eventi? Forse abbiamo dimenticato il ruolo fondamentale che può avere l´educazione, l´educazione ad essere uomini. Sto rileggendo un autore, Romain Gary, che dopo la fine della IIa guerra mondiale scrisse un romanzo su questi temi, "L´educazione europea". In esso un personaggio riflette, mentre la guerra sta per finire: "Quanti usignoli umani, fiduciosi e ispirati, sono morti con questa eterna e meravigliosa canzone sulle labbra? Quanti altri ancora moriranno nel freddo, nella sofferenza, nel disprezzo, nell´odio e nella solitudine, prima che la promessa della loro voce inebriante sia ascoltata?".

Sullo stesso argomento

Articoli in archivio

Un testimone e un'ex spia raccontano: agenti dei servizi imponevano all'imputato Graner le violenze contro i detenuti
'L'intelligence ordinava le torture' svolta nel processo-Abu Ghraib
di Carlo Bonini su La Repubblica del 14/01/2005
Reportage dal tribunale del Texas che processa Charles Graner accusato di aver organizzato le torture sistematiche dei detenuti
Al processo del "diavolo" dell'inferno di Abu Ghraib
di Carlo Bonini su La Repubblica del 13/01/2005
 
Cos'� ArchivioStampa?
Una finestra sul mondo della cultura, della politica, dell'economia e della scienza. Ogni giorno, una selezione di articoli comparsi sulla stampa italiana e internazionale. [Leggi]
Rassegna personale
Attualmente non hai selezionato directory degli articoli da incrociare.
Sponsor
Contenuti
Notizie dal mondo
Notizie dal mondo
Community
• Forum
Elenco degli utenti

Sono nuovo... registratemi!
Ho dimenticato la password
• Sono già registrato:
User ID

Password
Network
Newsletter

iscriviti cancella
Suggerisci questo sito

Attenzione
I documenti raccolti in questo sito non rappresentano il parere degli autori che si sono limitatati a raccoglierli come strumento di studio e analisi.
Comune di Roma

Questo progetto imprenditoriale ha ottenuto il sostegno del Comune di Roma nell'ambito delle azioni di sviluppo e recupero delle periferie

by Mondo a Colori Media Network s.r.l. 2006-2024
Valid XHTML 1.0, CSS 2.0