Da La Repubblica del 20/05/2004

L´INCHIESTA

I capi della gerarchia militare in Iraq depongono sotto giuramento al Senato. Sanchez: "Indagheremo"

I tre generali alla sbarra per salvare l´onore degli Usa

di Carlo Bonini

Chiamati a deporre di fronte alla Commissione di inchiesta sulle torture nella prigione di Abu Ghraib, nel giorno in cui il Pentagono informa dell´esistenza un quarto cd-rom degli orrori, gli Stati Maggiori si offrono al rito antico e marziale del sacrificio. Quello che condanna chi gli ordini ha eseguito o "equivocato" e assolve chi, verosimilmente, quegli ordini ha politicamente condizionato o, quantomeno, tollerato. Ai senatori della "Commissione Warner", il generale John Abizaid, comandante del Us Central Command, Ricardo Sanchez, comandante del teatro iracheno, Geoffrey Miller, responsabile delle operazioni di detenzione in Iraq, accompagnati dal colonnello Marc Warren, consigliere giuridico del Pentagono, offrono il petto tempestato di decorazioni, invitando a fare fuoco innanzitutto lì, su quelle medaglie. Gettano sul tavolo dal drappo rosso cui siedono come testimoni sotto giuramento, il loro onore di ufficiali. Interrompono la catena del "non poteva non sapere" che annoda le celle di Abu Ghraib agli uffici del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e del suo sottosegretario Stephen Cambone. Provano a tamponare gli squarci aperti dal "rapporto Taguba" e da quello della Croce Rossa, venendo in soccorso di Rumsfeld che di quei documenti si è detto ignaro fino al ridosso dello scandalo.

«E´ mia ferma convinzione - scandisce Abizaid - che gli ufficiali dell´esercito, una volta in comando, debbano esserlo davvero. Questo vale per l´ultimo dei sottotenenti, come per il sottoscritto. Dunque, accetto la responsabilità dell´intero Us Central Command». Abizaid sembra avere una gran voglia di tenere fede a quel soprannome di "arabo pazzo" guadagnato nell´83 a Grenada, quando decise di caricare una posizione nemica seduto su un bulldozer. Questa volta ha di fronte dei senatori, ma il metodo non cambia. Sorprendi, prima di essere sorpreso. Il generale Ricardo Sanchez, che gli siede accanto, lo sa. E sa dunque anche cosa fare. Anche perché, gli orrori di Abu Ghraib interpellano innanzitutto il suo ruolo di comandante del teatro iracheno. «Anche io - annuisce - mi assumo la responsabilità di quanto accaduto. Indagherò senza guardare in faccia nessuno. E questo riguarda anche me...».

Non è mossa da poco. Soprattutto se vestita di una consapevolezza politica che lo scaltro Abizaid mostra di avere quando sorprende una seconda volta i senatori che lo ascoltano. «Penso - dice - che quella in Iraq è una guerra che militarmente il nostro Paese non può perdere, ma neppure vincere. Militarmente, intendo. Gli iracheni, come noi, sono disgustati per quanto accaduto. Ma sono ancora più preoccupati che questo possa indurci a ritirarci dall´Iraq».

Nell´aula del senato che ha spennato di fronte agli occhi del mondo un navigato falco come Rumsfeld, l´azzardo dell´"arabo pazzo" rende più agevole il cammino di Sanchez e Miller. «E´ vero - dice il primo - ho messo sotto il controllo dell´intelligence militare Abu Ghraib, ma solo per renderla impermeabile alla guerriglia. Fermo restando che il comando restava al generale Janis Karpinsky, che non apparteneva all´intelligence.. ». «Non ho mai approvato - prosegue - nessuna misura di detenzione o interrogatorio in violazione della Convenzione di Ginevra. Non ho mai ordinato di ammorbidire i prigionieri con i metodi mostrati dalle foto. Solo in 25 casi, e per iscritto, ho disposto l´isolamento di detenuti per un periodo superiore ai 30 giorni».

Cani, guinzagli, sodomie, rapporti orali e quant´altro sarebbero dunque frutto della creatività di reparti male addestrati della polizia militare, «privi di un comando di riconosciuta leadership». Della «oggettiva confusione - concede Sanchez - che può aver provocato nella prigione la presenza di uomini dell´intelligence». Anche perché - argomenta Abizaid - se è vero «che esiste un problema sistemico nelle prigioni americane, in Iraq e in Afghanistan, come dimostrano le 75 inchieste per abusi aperte dalla fine del 2002», il «problema non è culturale». Semmai, «burocratico». Di scarsa reattività nella catena di comando. La stessa che avrebbe impedito al rapporto finale della Croce Rossa sugli abusi di Abu Ghraib di arrivare tempestivamente sul tavolo di Abizaid (e dunque della Casa Bianca), perché incagliato, «in attesa di osservazioni» sul tavolo del numero due di Sanchez, il generale Walter Wojdakowsky.

Accade così che persino il duro Miller riesca a trasformare le domande della Commissione in una passeggiata di salute. Lui, già comandante di Guantanamo, spedito ad Abu Ghraib per "guantanamizzarne" le procedure, ha un ghigno divertito. «Guantanamizzare? Mai usato questo termine. Le mie istruzioni furono di trattare i detenuti nel rispetto della Convenzione di Ginevra, come avviene a Guantanamo». E poco importa, evidentemente, che a Guantanamo l´applicazione della Convenzione di Ginevra sia espressamente esclusa per decreto. Che mentre Miller pronuncia quelle parole, il Pentagono informi che «con effetto immediato», siano entrate in vigore nuove procedure che accennano ad una timida "deguantanamizzazione" della galera caraibica. D´ora in avanti, la posizione di ciascun detenuto sarà "esaminata" annualmente da un collegio di tre ufficiali del Pentagono che, dopo averlo interrogato alla presenza di un difensore, decideranno della sua sorte: prolungarne o interromperne la detenzione.

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