Da Corriere della Sera del 16/05/2004

La minaccia

Gli israeliani gridano pace. Arafat: terrorizzate i nemici

Oltre centomila persone in strada a Tel Aviv

di Elisabetta Rosaspina

GERUSALEMME - Successo dei pacifisti a Tel Aviv, dove la piazza dedicata a Rabin, il premier assassinato, traboccava ieri sera di sostenitori del ritiro da Gaza di truppe e coloni. Ma da Ramallah, Corano alla mano, Arafat esorta il suo popolo a «terrorizzare il nemico», nel giorno della «nakba», l'anniversario della diaspora palestinese. E' un messaggio doppio quello che esce dalla Mukata, il quartier generale del raìs: rassicurante per la comunità internazionale, quando giura di non voler rinunciare a una pace negoziata per il «bene dei nostri figli e di quelli degli israeliani»; ma bellicoso quando si rivolge ai profughi, promettendo loro l’irrinunciabile ritorno in patria.

A Tel Aviv, la sinistra israeliana passa l’esame della folla e riesce a radunare ben più dei centomila partecipanti sperati. Ancora troppo pochi per l'ex capo dello Shin Bet, i servizi segreti interni, Ami Ayalon, che si lamenta dal palco: «Qui non vedo la maggioranza degli israeliani. Questa non dev'essere una manifestazione di destra o di sinistra, ma di tutti coloro che chiedono il ritiro da Gaza e non vogliono accontentarsi di restare una maggioranza silenziosa». Per la sinistra, l'obiettivo è raggiunto: la piazza è piena, come le strade limitrofe. In centocinquantamila, secondo stime televisive, hanno risposto all'appello delle organizzazioni pacifiste e dei laburisti israeliani a sostegno della smobilitazione da Gaza e della riapertura delle trattative con la controparte palestinese.

Per il ritiro unilaterale dell'esercito e, più o meno forzato, dei 7.500 coloni che vivono in mezzo a oltre un milione e 400 mila palestinesi nella Striscia, sono scesi in piazza ieri sera almeno il doppio degli iscritti al Likud, il partito di governo, che avevano votato «no» al piano di disimpegno da Gaza presentato poche settimane fa dal premier Ariel Sharon. Nel caso specifico, appoggiato dagli avversari e contestato dagli alleati di governo e da parte del suo stesso schieramento politico.

Il confronto numerico è vinto, ma non convince Ayalon che chiama ogni israeliano, contrario al mantenimento delle colonie di Gaza, a fare la sua parte. Il leader laburista, e Nobel per la pace, Shimon Peres si accontenta: «Siamo la voce di cinque milioni di israeliani contro 60 mila elettori del Likud. Diciamo addio a Gaza e a un milione e mezzo di palestinesi, e riprendiamo il dialogo con gli esponenti moderati come Abu Mazen e Abu Ala». La manifestazione è iniziata con un minuto di silenzio in memoria dei tredici soldati morti, con una trentina di palestinesi, in tre giorni di scontri e agguati a Rafah, ultimo lembo meridionale di Gaza prima dell'Egitto. Ieri sera la Corte suprema israeliana ha ordinato all'esercito di sospendere la distruzione delle case a sud della Striscia almeno finché i giudici non avranno esaminato nel merito il ricorso presentato dagli abitanti del «Blocco O», il più meridionale di Rafah, destinato a essere raso al suolo per ragioni strategiche. Ma le uniche eccezioni ammesse dalla Corte nel suo decreto sono urgenze militari o combattimenti in corso. Nelle ore precedenti, prima che tank ed elicotteri si ritirassero, le ruspe israeliane avevano demolito 88 delle case più vicine alla «via Filadelfia», una strada ad uso militare che separa Rafah dal confine egiziano ed è esposta al tiro dei missili kassam. Altri mille palestinesi «terremotati» dai caterpillar nelle ultime ore, secondo gli osservatori dell'Unrwa, l'agenzia delle nazioni unite per i rifugiati, pongono gli organismi internazionali di fronte a una crisi umanitaria.

Per i palestinesi, invece, non è altro che la continuazione della «nakba», la catastrofe, come viene definita in arabo, e commemorata ogni 15 maggio, la fondazione dello Stato d'Israele nel 1948, e il conseguente esodo di profughi. Dal quartier generale di Ramallah, Yasser Arafat ha sfidato le minacce del suo storico avversario, Ariel Sharon, esortando i palestinesi a trovare «la forza che avete in voi per terrorizzare il nemico e i nemici di Dio».

D'accordo, è una citazione del Corano che, subito dopo, invita anche a riappacificarsi con chi chiede la pace, ma è stata accolta in Israele come un incitamento alla lotta armata e al terrorismo di cui il leader dell'Olp è considerato l'ispiratore. Le città della Cisgiordania ieri sono state attraversate da manifestazioni tutt'altro che concilianti, in memoria delle case e dei villaggi perduti 56 anni fa. «Niente pace, né stabilità senza il diritto al ritorno» hanno reclamato 2.500 manifestanti di fronte alla Mukata, la base semidistrutta in cui Arafat è confinato da oltre due anni. Il presidente dell'Autorità palestinese ha colto l'occasione per dimostrare di non temere le minacce pronunciate da Sharon in occasione della festa per l'indipendenza israeliana. In un'intervista il premier rivelò di non sentirsi più vincolato alle promesse fatte agli americani riguardo all'incolumità di Arafat. Che conosce troppo bene il suo rivale per non aver soppesato le parole scelte dal Corano, nel giorno della «nakba» palestinese.

La nostra nazione è paziente ma decisa, sacrifica il suo corpo per difendersi, una nazione rapinata dalla Nakba. Israele non può ignorare la sua responsabilità morale e politica in questa tragedia nazionale che ha fatto del male ai palestinesi. Trovate la forza che avete in voi per terrorizzare i vostri nemici e i nemici di Dio. E se loro vogliono la pace, allora concedetegliela.

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