Da Corriere della Sera del 15/05/2004

Travestimenti, armi e staffette così fu ideato il delitto D’Antona

Cinque anni dopo l’omicidio un floppy disk svela il piano delle nuove Br

di Giovanni Bianconi

ROMA - Cinque anni fa, di questi giorni, nessuno si preoccupava di loro. Nessuno immaginava nemmeno che esistessero. Invece esistevano e si preparavano a colpire, pianificando l’azione di esordio con precisione maniacale. Senza trascurare il minimo particolare, per esempio sul luogo in cui avrebbero ucciso. E scrivevano: «Punti per l’attesa di staffette per il controllo dell’incrocio di via Po con via Salaria, che consentano un avvicinamento rapido alla postazione di osservazione... Tempo necessario per raggiungere incrocio-Salaria partendo da incrocio via Adda-Salaria, attraversando e andando a passo veloce mezza corsa... Direzione di allontanamento della sq. op. off. (squadra operativa offensiva, cioè il gruppo che spara, ndr ), se verso via Adda o verso Salaria, via Villa Albani. Quale dispersione nelle due direzioni». Messi a punto tutti i dettagli, la mattina del 20 maggio 1999, alle 8.30 circa, uscirono allo scoperto con i sei colpi di pistola calibro 9 corto sparati contro il professor Massimo D’Antona, consulente del ministero del Lavoro Bassolino nel governo guidato da Massimo D’Alema, a Roma, in via Salaria, poco dopo l’incrocio con via Adda, a duecento metri da casa della vittima. Quei colpi uccisero il professore e fecero tornare lo spettro delle Brigate rosse in Italia, scomparso da un decennio. Nessuno si aspettava che qualcosa di simile potesse accadere ma loro, i neo-brigatisti, s’erano preparati per mesi a quell’appuntamento. Pedinando «il soggetto» da gennaio, seguendo i suoi spostamenti, studiando le sue abitudini. Organizzando la sua morte senza lasciare nulla al caso: «Verificare meglio visibilità del marciapiede considerando il passaggio del soggetto dietro un furgone...».

Oggi, cinque anni dopo, alcuni files memorizzati su un floppy disk ritrovato nel deposito delle Br di via Montecuccoli a Roma, cancellati e parzialmente recuperati dai tecnici della polizia scientifica, svelano ogni minuzia di quel piano: il promemoria e la contabilità dell’inchiesta brigatista che ha portato all’omicidio D’Antona. Comprese le prove tecniche «sull’attrezzatura militare», cioè la pistola che uccise il consulente di Bassolino e che tre anni dopo sparò ancora contro Marco Biagi: «Sperimentare la possibilità di utilizzare l’arma silenziata dall’interno di una borsa eventualmente imbottita con materiale insonorizzante. Comprare fogli di materiale insonorizzante morbido, ad es. tipo in gomma piuma o lana di vetro». E più avanti: «Sperimentare borsa per arma silenziata ed eventualmente anche per arma lunga».

Si tratta di un particolare importante, perché se effettivamente fosse questa la tecnica utilizzata dai brigatisti in via Salaria, ciò spiegherebbe l’assenza dei bossoli sul luogo del delitto, al contrario di ciò che avvenne tre anni dopo per l’omicidio Biagi. Ma le precauzioni e i dettagli della pianificazione non si limitano alle armi. Il commando che entrò in azione il 20 maggio di cinque anni fa aveva regole tassative anche sui vestiti da indossare: per le staffette e chi svolgeva compiti di «copertura» viene indicato un «abbigliamento di colore chiaro, bianco, avana chiaro o colorato ma con colori chiari; è preferibile un colore comune, comunque nettamente diverso da quello impiegato dalla sq. op. off. nell’azione che sarà scuro, abbigliamento comune ma distinto».

Per le staffette venne prevista anche una particolare dotazione, completa di «radio, caricabatterie, microfono e auricolari», nonché «cerotti da mettere su tre dita della mano di uso prevalente per toccare l’auto senza preoccupazioni», oppure un «fazzoletto per toccare l’auto o pulire dove si è toccato». La precauzione di non lasciare tracce vale anche per il gruppo «offensivo», laddove si indica, oltre a un generico «camuffamento», anche una «soluzione con smalto o prodotti simili per impronte».

Che gli assassini di D’Antona fossero nascosti all’interno di uno dei due furgoni ritrovati e parcheggiati in via Salaria - un Nissan Vanette e un Fiat Ducato, rubati alcuni giorni prima - è confermato anche da questo documento, nel quale c’è l’annotazione del segnale da dare ai sicari mentre la vittima si stava avvicinando: «Segnalare con dei colpi sul furgone il momento opportuno per l’uscita delle forze della sq. op. off., momento che potrebbe essere in concomitanza con il passaggio dell’autobus e di assenza di pedoni dal lato pari», cioè dove ci sono i numeri civici pari, proprio quello in cui è avvenuto l’agguato. Sulla sistemazione dei mezzi i brigatisti hanno studiato a lungo, considerando anche la possibilità di usare uno o due Fiorini: «Valutazione da effettuare analizzando la possibilità di attesa in 2 o 3 elementi all’interno del Fiorino, la visibilità all’uscita dal Fiorino stando lungo villa Albani nei pressi del cartellone, la visibilità dell’uscita dal retro; la possibilità che un elemento rimanga nell’abitacolo e poi vada dietro ad aprire lo sportello in modo da coprire l’uscita degli altri».

Alla fine la scelta è caduta sui due furgoni, dopo aver misurato la loro lunghezza in modo da calcolare le «macchine necessarie per occupare lo spazio», valutato la posizione di quello parcheggiato «sul lato pari rispetto a cartello pubblicitario, cioè se preferibile prima o dopo», e trovati «i materiali per impedire visibilità dell’interno del furgone e consentire massima visibilità esterna». I vetri posteriori dei due mezzi vennero oscurati con della vernice sulla quale era stato raschiato un piccolo spazio per guardare fuori. Con un’avvertenza: «In caso si preveda una pausa di qualche giorno va valutata l’opportunità e le modalità per spostare uno dei due furgoni o tutti e due».

Per giorni i brigatisti hanno controllato la zona, per studiare il percorso del professor D’Antona quando usciva di casa («binocolo per osservazione del soggetto, sperimentare la visibilità con un binocolo rispetto al cannocchiale e l’impiegabilità di binocoli più potenti...») oltre all’eventuale presenza di macchine o uomini delle forze dell’ordine. Le staffette avevano anche questo compito: «Distinguibilità di pattuglie o forze in borghese che passino su via Salaria da quelle che proseguono su via Po, cioè ad incrocio Po-Salaria; distinguibilità dei mezzi e delle targhe che entrano in via Salaria stando dietro l’angolo di via Po». E ancora: «Controllare da dati dell’inchiesta gli orari di uscita di forze di polizia da via Basento; fare ulteriori accertamenti rispetto all’utilizzo di via Adda da parte di auto civili, di forze di polizia, eventuali orari o tipologia».

Al momento dell’omicidio non passò nessuna macchina sospetta, i killer scesero dal furgone, spararono e scapparono a bordo di un motorino, come gli altri complici che controllavano la situazione ai vari incroci. Anche questa parte dell’azione era stata pianificata nei minimi dettagli: «Accertare la possibilità di rendere il motorino pronto all’accensione senza bisogno di inserire e girare la chiave, oppure predisponendo solo un pulsante; mettere a punto il ciclomotore Sì già disponibile; verificare stato della Vespa 50 automatica».

Quella mattina di cinque anni fa tutto funzionò come previsto e pianificato: il professor D’Antona giaceva a terra colpito a morte, e i suoi assassini si dileguarono in pochi secondi. Le Brigate rosse erano tornate.

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