Da Corriere della Sera del 13/05/2004

L’orrore unisce l’America: «Puniremo i colpevoli»

Bush, sconvolto dalla decapitazione del civile Usa, non riesce a guardare il video. Kerry lo sostiene

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Bush appare sconvolto dalla decapitazione di Berg, un evento che ha aperto un doloroso dibattito in America. Porge le condoglianze alla famiglia, dichiara che «non c’è alcuna giustificazione per la brutale esecuzione di un civile innocente», che essa «ci ricorda la natura di quei pochi che vogliono fermare la democrazia, i nemici della libertà che sperano di scuotere la volontà e la fiducia degli Usa in Iraq». Il presidente, riferisce la Casa Bianca, che aveva visto le foto delle torture inflitte ai detenuti iracheni, non si è sentito di guardare il video dell’atroce assassinio.

Ma la ferocia dei terroristi ha rafforzato la sua determinazione ad andare avanti. «Ci ricorda anche - afferma partendo per un viaggio elettorale - di come ci sia un disperato bisogno di società libere e democratiche in alcune parti del mondo. Porteremo a termine la nostra missione, la porteremo a termine». Fa eco alla sua denuncia il segretario dell’Onu Kofi Annan da New York. «Annan è inorridito, particolarmente disgustato dal macabro pubblico spettacolo - spiega il portavoce Fred Echard -. Condanna la decapitazione, come gli abusi dei detenuti, invita tutti al rispetto dei diritti umani».

La decapitazione di Berg, si ritiene per mano di Abu Musab al Zarkawi, il capo di Al Qaeda in Iraq (la Cia non ne ha ancora identificato la voce), suscita sgomento e proteste in tutta l’America, ma il dibattito su di essa rischia di dividerla in due.

Per una parte del Paese, come scrive il Wall Street Journal nell’editoriale, «mette nella giusta prospettiva le disgustose fotografie di Abu Ghraib facendo capire al pubblico che i terroristi che assassinano così facilmente civili innocenti non meritano la tutela delle Convenzioni di Ginevra». Anzi, come commenta il senatore conservatore Rick Santorum, «rilancerà il calante appoggio a Bush in Iraq». Per un’altra parte invece, come ammonisce la senatrice Susan Collins, una repubblicana moderata, «la disumanità del nemico non riduce la necessità d’investigare sugli abusi ai detenuti commessi da soldati e contractors privati». Al contrario, rende più urgente, come rileva il senatore democratico Carl Levin, «punire i colpevoli e cambiare strada in Iraq, per chiarire la differenza tra di noi e il nemico e per recuperare la nostra credibilità e la nostra superiorità morale».

Senza parlarne apertamente, la Casa Bianca interviene nel dibattito tradendo la preoccupazione che l’assassinio di Berg, assommato allo scandalo delle torture, danneggi Bush, spingendo l’America al disimpegno a Bagdad. Il suo portavoce Scott McClellan lo denuncia quasi con le stesse parole di Bush, ma smentisce che la decapitazione vada collegata alle foto degli abusi su prigionieri iracheni: «Il terrorismo cerca ogni scusa per giustificare l’omicidio, la distruzione, il caos». Ribadisce, inoltre, la volontà del presidente di ottenere la pace: «E’ importante concentrarsi sulla nostra missione, non cedere al terrorismo. Un Iraq libero è essenziale per sconfiggerlo». Bush trova inatteso sostegno nel candidato democratico John Kerry, che condanna l’assassinio: «Niente può giustificarlo. E’ gente che vive fuori dei valori del resto del mondo». Ma Kerry sottolinea che «bisogna mettere fine all’occupazione americana dell’Iraq, consegnare realmente i poteri agli iracheni e all’Onu, mandare una nuova forza multinazionale». E accusa l’amministrazione di «incredibile incompetenza».

Il timore inespresso della Casa Bianca è che i casi come quelli di Berg si moltiplichino, e le truppe americane si trasformino in bersagli del terrorismo e della resistenza, facendo scendere ancor più la popolarità di Bush nei sondaggi. E infatti a Bagdad il portavoce della coalizione Dan Senor annuncia «un’operazione a 360 gradi» per la cattura di Zarqawi, allo scopo di farne un esempio. Il dibattito è esasperato dalle accuse rivolte a Bush dal padre di Nick Berg, Michael, che ritiene che il figlio sia stato ucciso anche perché ebreo, come Daniel Pearl, il giornalista del Wall Street Journal decapitato in Pakistan nel 2002. Il padre insiste che il giovane fu trattenuto in Iraq dalla coalizione per accertamenti (ma il portavoce della coalizione a Bagdad, Dan Senor, lo nega) e rilasciato soltanto dopo il ricorso al tribunale di Filadelfia: «Il presidente ha sminuito i diritti civili, non è dedito alla democrazia». Ripete che il figlio voleva lasciare Bagdad alla fine di marzo, prima dell’ondata dei sequestri, e che se avesse potuto farlo sarebbe ancora vivo.

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