Da Corriere della Sera del 04/05/2004
Scienza e innovazione L’America teme il sorpasso
Più laureati e premi Nobel: la sfida di Europa, Giappone e Cina
di Giovanni Caprara
Gli Stati Uniti che più di tutti spendono in ricerca e sviluppo, e che si offrono come il sogno per la maggior parte dei ricercatori del pianeta, dichiarano di sentirsi come una stella cadente della scienza. «Stiamo perdendo il nostro dominio e il resto del mondo ci sta incalzando. Le aree di eccellenza non sono più soltanto americane» afferma sulle colonne del New York Times John E. Jankowski, della National Science Foundation , l’agenzia federale che sorveglia l’impegno scientifico statunitense. Il grido d’allarme è preciso e indica nell’Europa, ma soprattutto nei Paesi asiatici, i luoghi dai quali arriva la minaccia. Quattro segnali testimoniano la perdita della supremazia. Innanzitutto il numero dei brevetti. Fra tutti quelli rilasciati solo la metà nasce negli States, gli altri sono frutto del lavoro di giapponesi, tedeschi, taiwanesi e sudcoreani. Il secondo indizio è legato alle pubblicazioni. Nel campo della fisica sono diventate una minoranza rispetto a quelle dei colleghi stranieri: nel 2003 rappresentavano soltanto il 29%, quando dieci anni prima erano il 61%. La stessa flessione si nota anche in altre discipline.
Terzo elemento, forse più simbolico, ma anch’esso sostanziale, è la quantità dei premi Nobel conquistati. Anche qui sino a epoche recenti c’era un incontrastato dominio a «stelle e strisce», ma già nel Duemila solo il 51% era americano, gli altri erano assegnati alla Gran Bretagna, al Giappone, alla Russia, alla Germania, alla Svezia, alla Svizzera e alla Nuova Zelanda. L’ultimo segnale riguarda i dottorati: negli Usa scendono, in Asia e in Europa aumentano. E molti stranieri dopo averlo ottenuto nelle università americane, passato qualche anno, tornano ai Paesi d’origine mentre prima preferivano restare.
Europa e Asia stanno crescendo, ma dei loro risultati non si parla negli Stati Uniti, dicono gli analisti. E citano, come esempio, la recente scoperta del metano nell’atmosfera di Marte ottenuta dalla sonda europea Mars Express con uno strumento italiano, di cui i media non hanno riferito mentre abbondavano le immagini trasmesse dai due robot Spirit e Opportunity della Nasa. Con timore, quasi, si evoca la prossima entrata in funzione del nuovo acceleratore di particelle «Lhc» del Cern a Ginevra che sarà il più potente al mondo per indagare i misteri della materia. I nostri studi - si dice - trascurano la ricerca di base, è eccessivamente finalizzata alla tecnologia e guarda troppo alla Difesa.
Fa impressione una simile analisi in un Paese dove la ricerca pubblica spende quest’anno 126 miliardi di dollari e più ancora ne investe la ricerca privata, quando «l’Europa - dice il commissario Philippe Busquin - spende il 40% meno degli Stati Uniti i quali investono solo nella ricerca industriale cento miliardi di euro più del Vecchio Continente».
Ma questi segni negativi preoccupano gli americani soprattutto in prospettiva per due ragioni. Perché se si rafforzano possono diventare gravi malattie capaci di incrinare davvero il sistema con ripercussioni negative sull'economia. In secondo luogo, perché gli sforzi messi in atto sia in Asia che in Europa produrranno presto sfide con cui Washington dovrà fare seriamente i conti. «Ci troviamo in una situazione critica», avverto Tom Daschle leader democratico al Senato. «Il cielo non sta cadendo sulla scienza americana. Forse c’è qualche nuvola che richiede attenzione», risponde John H. Marburger, consigliere scientifico del presidente Bush.
Terzo elemento, forse più simbolico, ma anch’esso sostanziale, è la quantità dei premi Nobel conquistati. Anche qui sino a epoche recenti c’era un incontrastato dominio a «stelle e strisce», ma già nel Duemila solo il 51% era americano, gli altri erano assegnati alla Gran Bretagna, al Giappone, alla Russia, alla Germania, alla Svezia, alla Svizzera e alla Nuova Zelanda. L’ultimo segnale riguarda i dottorati: negli Usa scendono, in Asia e in Europa aumentano. E molti stranieri dopo averlo ottenuto nelle università americane, passato qualche anno, tornano ai Paesi d’origine mentre prima preferivano restare.
Europa e Asia stanno crescendo, ma dei loro risultati non si parla negli Stati Uniti, dicono gli analisti. E citano, come esempio, la recente scoperta del metano nell’atmosfera di Marte ottenuta dalla sonda europea Mars Express con uno strumento italiano, di cui i media non hanno riferito mentre abbondavano le immagini trasmesse dai due robot Spirit e Opportunity della Nasa. Con timore, quasi, si evoca la prossima entrata in funzione del nuovo acceleratore di particelle «Lhc» del Cern a Ginevra che sarà il più potente al mondo per indagare i misteri della materia. I nostri studi - si dice - trascurano la ricerca di base, è eccessivamente finalizzata alla tecnologia e guarda troppo alla Difesa.
Fa impressione una simile analisi in un Paese dove la ricerca pubblica spende quest’anno 126 miliardi di dollari e più ancora ne investe la ricerca privata, quando «l’Europa - dice il commissario Philippe Busquin - spende il 40% meno degli Stati Uniti i quali investono solo nella ricerca industriale cento miliardi di euro più del Vecchio Continente».
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