Da La Repubblica del 03/05/2004

La maschera di Brahimi

di Vittorio Zucconi

La tragedia si riassume in una sola parola che spiega il panico dell´Impero brancolante: «occupazione». Bandita dal vocabolario orwelliano della Casa Bianca, del Pentagono e degli agit prop neo conservatori, la maledetta parola che spiega la spirale dell´orrore, dalle torture alla resistenza fanatica e suicida degli insorti, è uscita ieri dalle labbra del più insospettabile degli osservatori, il segretario della Difesa, Donald Rumsfeld. Non riesco a capire, ha detto "Rummy", come lo chiamavano i suoi adoratori, in un´intervista a Chris Matthews della Nbc, come mai una «guerra di liberazione sia diventata una guerra di occupazione».

La coscienza che la trionfale «missione compiuta» non sia divenuta un 25 aprile ?45 italiano ma un primo febbraio 1968 vietnamita, è la chiave per capire l´ennesimo e sbalorditivo ribaltone strategico americano. Ed è già cominciato il classico «blame game», il gioco dello scaricabarile tra fazioni diverse degli ideologi della guerra. La riesumazione dell´Onu, attraverso l´inviato di Kofi Annan, quel Brahimi che i duri e puri della democrazia da esportare a cannonate vedono come una resa ai vecchi regimi arabi niente affatto squassati dal «vento della Mesopotamia», è soltanto il tentativo, tardivo e forse inutile, di dare un costume multinazionale a un´occupazione - come dice Rummy - che resterà unilateralmente americana, sperando che non venga più percepita come tale.

Peggio ancora, il tragicomico balletto attorno a uno di quei famigerati "baffoni" sosia di Saddam, l´ex generale Saleh della esecrata Guardia Repubblicana, per poter ritirare i Marines da Falluja e ora, pare, destituito prima ancora di essere insediato, è il sintomo terribile dello sbandamento dei comandi imperiali. Raccontano i giornalisti al seguito delle truppe, che i Marines sono furiosi e demoralizzati, per questa marcia indietro, e per dover affiancare chi fino a ieri era il «male».

Il trucco di pseudo internazionalizzazione e di pseudo irachizzazione è evidente. Ancora una volta, il comportamento di Washington, o almeno di quella "cabala" di personaggi che ha condotto gli Stati Uniti alla piccola "Stalingrado" sunnita di Falluja e alla demenziale esaltazione del ciarlatano Moqtada al Sadr, tradisce una formidabile ignoranza della realtà storica ed etnica. È quella stessa ignoranza che condusse Paul Wolfowitz a proclamare alla radio Npr che liberare e democratizzare l´Iraq sarebbe stato facilitato dal fatto «che in Iraq non ci sono luoghi sacri come in Arabia Saudita» (Najaf è la città santa degli sciiti). E a confessare, tre giorni or sono davanti al Senato, di non sapere neppure quanti soldati avesse perduto finora il suo ministero, il Pentagono (ha detto «circa 500», erano già 740).

Il pasticcio del "baffone" Saddamita riesumato, poi indagato quando hanno cominciato a correre voci che il generale Saleh fosse un profittatore di guerra e un macellaio di regime, non sono diretti a salvare l´Iraq, ma a salvare Bush dall´avversario democratico Kerry (pur fiacchissimo) mettendo la maschera di Brahimi sul finto passaggio di sovranità, e sul viso del vero boss del futuro, Negroponte, già distintosi come ambasciatore nell´Honduras negli anni degli "squadroni della morte". Sono la risposta balbettante alla falsa domanda che l´Occidente non pacifista, ma neppure irresponsabile, si pone angosciosamente ormai ogni giorno. Restare? Fidarsi di chi, 15 mesi dopo l´occupazione, ha scoperto che si tratta di occupazione? È saggio affidare ai Bush, ai Rumsfeld, ai Wolfowitz, allo stesso chiurgo che da 14 mesi sbaglia diagnosi e interventi, la salvezza del paziente?

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