Da Corriere della Sera del 03/05/2004
Torture ai prigionieri, la Cia sotto accusa
Due generali Usa: «Erano i servizi segreti a volere quei metodi». Anche sei soldati britannici indagati per sevizie
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Dai riservisti, lo scandalo delle sevizie e delle umiliazioni dei prigionieri iracheni si estende alla Dia, l’intelligence militare, alla Cia, quella civile, e agli «sceriffi» privati ai loro ordini. Sono due generali ad accusare i servizi segreti: la generalessa della riserva Janis Karpinski, ex direttrice delle famigerate carceri di Abu Ghraib a Bagdad dove si consumarono le atrocità, e il generale dell'esercito Antonio Taguba. In un rapporto finito nelle mani della rivista New Yorker , Taguba denuncia «abusi criminali, sadici e impudenti», e scrive che «uomini della Cia, della Dia e ditte private chiesero attivamente ai soldati di mettere i detenuti nelle condizioni mentali e fisiche favorevoli all'interrogatorio». In interviste alle radiotv e ai giornali, la Karpinski critica «i reati» dell’ intelligence e si discolpa dicendo di esserne stata sempre tenuta all'oscuro. Il sergente Chip Frederick, il capo dei sei riservisti che rischiano la Corte marziale, conferma: «Contestai i metodi degli interrogatori ma mi risposero: l'intelligence militare vuole così». I quattro ragazzi e le due ragazze sarebbero stati gli esecutori delle torture, gli 007 i mandanti.
E' uno scandalo che assume dimensioni sempre più gravi, come testimonia il fatto che sia attualmente oggetto di tre nuove inchieste, una dell'esercito (la terza consecutiva da gennaio), una della Cia, e una della riserva, che secondo la generalessa «fa da capro espiatorio perché si può sbarazzarsene salvando parzialmente l'onore delle altre forze armate». Uno scandalo che dilaga anche in Gran Bretagna dove sei soldati del Reggimento Lancashire a Bassora sono stati portati a Cipro e inquisiti per analoghe atrocità sui prigionieri. Mentre un ex detenuto, Huthaifah Faris Shabib, dichiara al quotidiano giordano al Rai di essere stato «sistematicamente pestato», Amnesty International protesta che le truppe anglo-americane in Iraq impiegano «le torture come metodo», e insiste su una indagine indipendente. Il presidente Usa Bush e il premier britannico Blair ribadiscono il loro «disgusto per episodi totalmente inaccettabili», sottolineando che riguardano solo una frangia deviata dei militari, ma lo scandalo infanga la coalizione, evoca lo spettro dei crimini di guerra, e complica tragicamente la soluzione della crisi irachena.
Per limitare i danni, il generale Richard Myers, capo di Stato Maggiore delle forze armate americane, assicura che «non vi sono prove di abusi sistematici», che i metodi degli interrogatori «vengono controllati», che «le torture non sono ammesse», e che sarebbe una sorpresa se l'intelligence le avesse suggerite «perché tutti sanno che è sbagliato». Ma il rapporto di 53 pagine del generale Taguba, rivelato sul New Yorker da un famoso giornalista, Seymour Hersh, è traumatico. Parla di liquido fosforico di lampade chimiche rovesciato sui prigionieri, di bastonate, di minacce di stupro, persino di un caso di «sodomia con una lampadina e un manico di scopa». Il sergente Frederick riferisce che «i detenuti venivano rinchiusi nudi o in mutandine femminili per tre giorni in cella d'isolamento senza finestra, senza acqua e senza ventilazione», o ammanettati alla porta.
La generalessa Karpinski, una consulente aziendale di 50 anni tornata alla vita civile nella Sud Carolina, sostiene di avere scoperto che l’ intelligence portava i detenuti in un «centro per gli interrogatori aperto 24 ore su 24». «Non appresi dello scandalo che dopo la prima inchiesta dell’esercito - ha dichiarato al New York Times - Quando vidi le foto, temetti di vomitare». Alcune mostrerebbero i detenuti «costretti a compiere atti sessuali», altri mentre vengono malmenati sebbene feriti. Ma la Karpinski ha ammesso di non avere mai visitato quella parte del carcere: «Non volevano che interferissi, avrei dovuto essere più aggressiva».
E' uno scandalo che assume dimensioni sempre più gravi, come testimonia il fatto che sia attualmente oggetto di tre nuove inchieste, una dell'esercito (la terza consecutiva da gennaio), una della Cia, e una della riserva, che secondo la generalessa «fa da capro espiatorio perché si può sbarazzarsene salvando parzialmente l'onore delle altre forze armate». Uno scandalo che dilaga anche in Gran Bretagna dove sei soldati del Reggimento Lancashire a Bassora sono stati portati a Cipro e inquisiti per analoghe atrocità sui prigionieri. Mentre un ex detenuto, Huthaifah Faris Shabib, dichiara al quotidiano giordano al Rai di essere stato «sistematicamente pestato», Amnesty International protesta che le truppe anglo-americane in Iraq impiegano «le torture come metodo», e insiste su una indagine indipendente. Il presidente Usa Bush e il premier britannico Blair ribadiscono il loro «disgusto per episodi totalmente inaccettabili», sottolineando che riguardano solo una frangia deviata dei militari, ma lo scandalo infanga la coalizione, evoca lo spettro dei crimini di guerra, e complica tragicamente la soluzione della crisi irachena.
Per limitare i danni, il generale Richard Myers, capo di Stato Maggiore delle forze armate americane, assicura che «non vi sono prove di abusi sistematici», che i metodi degli interrogatori «vengono controllati», che «le torture non sono ammesse», e che sarebbe una sorpresa se l'intelligence le avesse suggerite «perché tutti sanno che è sbagliato». Ma il rapporto di 53 pagine del generale Taguba, rivelato sul New Yorker da un famoso giornalista, Seymour Hersh, è traumatico. Parla di liquido fosforico di lampade chimiche rovesciato sui prigionieri, di bastonate, di minacce di stupro, persino di un caso di «sodomia con una lampadina e un manico di scopa». Il sergente Frederick riferisce che «i detenuti venivano rinchiusi nudi o in mutandine femminili per tre giorni in cella d'isolamento senza finestra, senza acqua e senza ventilazione», o ammanettati alla porta.
La generalessa Karpinski, una consulente aziendale di 50 anni tornata alla vita civile nella Sud Carolina, sostiene di avere scoperto che l’ intelligence portava i detenuti in un «centro per gli interrogatori aperto 24 ore su 24». «Non appresi dello scandalo che dopo la prima inchiesta dell’esercito - ha dichiarato al New York Times - Quando vidi le foto, temetti di vomitare». Alcune mostrerebbero i detenuti «costretti a compiere atti sessuali», altri mentre vengono malmenati sebbene feriti. Ma la Karpinski ha ammesso di non avere mai visitato quella parte del carcere: «Non volevano che interferissi, avrei dovuto essere più aggressiva».
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