Da La Repubblica del 25/04/2004

Stupri, torture e stragi di massa oltre diecimila vittime in Sudan

L´Onu ammette: spaventosa opera di pulizia etnica

Denunciati i crimini del governo contro i civili
L´attacco contro la popolazione dura da più di un anno
L´Onu ha votato una risoluzione che esprime "preoccupazione"
Khartoum ha rifiutato per mesi l´ingresso nella regione di osservatori imparziali
Le vittime rastrellate dai villaggi, caricate su camion e uccise con colpi alla testa
Le operazioni delle milizie sono precedute da bombardamenti dell´aeronautica

di Pietro Veronese

DOPO mesi di attacchi feroci, migliaia di morti, oltre centomila profughi nel vicino Ciad e quasi un milione di persone in fuga all´interno del territorio sudanese, la guerra a bassa intensità del Darfur è forse vicina alla fine. Il governo di Khartoum ha firmato un cessate il fuoco con i due movimenti ribelli di questa vastissima regione e due missioni di osservatori internazionali stanno infine per essere ammesse all´interno dei confini della provincia. Per lunghi mesi, però, terribili massacri sono stati compiuti lontano dagli occhi del mondo e le ripetute denunce non hanno avuto effetto. Secondo l´Onu i morti, nell´ultimo anno, sono stati oltre 10.000. Adesso Human Rights Watch, la più attendibile organizzazione internazionale in difesa dei diritti dell´uomo, ha raccolto testimonianze agghiaccianti di stragi perpetrate dalle forze governative e dalle milizie loro alleate contro la popolazione. Crimini di guerra: non c´è altra definizione per gli orrori del Darfur. I superstiti in fuga vanno riferendo da tempo di stupri, torture, uccisioni indiscriminate. La diplomazia americana e alti funzionari delle Nazioni Unite hanno parlato di «pulizia etnica», ma le pressioni internazionali sul governo di Khartoum non avevano dato effetto nei mesi passati. Qualunque cosa si riuscirà a fare, ora, sarà comunque troppo tardi.

I fatti denunciati da Human Rights Watch risalgono al mese scorso e sono avvenuti in due aree distinte, Garsila e Mugjir. Il modus operandi degli aggressori è tuttavia identico. Le milizie arabe note col nome di Janjaweed circondano i villaggi, razziano quel poco che c´è da razziare, appiccano il fuoco alle capanne e raccolgono gli abitanti a mano armata, facendoli poi salire su convogli di camion. L´esercito regolare fornisce armi, mezzi di trasporto, quasi sempre accompagna i Janjaweed nelle operazioni. «Lavorano all´unisono, l´impunità è totale», dice il direttore di Hrw, Kenneth Roth. I civili così rastrellati a Garsila e Mugjir il giorno 5 marzo sono stati portati in una valle vicina, fatti scendere dai camion e abbattuti con un colpo alla testa. In tutto 136 morti, tutti uomini, giovani e vecchi, tutti appartenenti all´etnia Fur. A riferire l´accaduto è stato l´unico sopravvissuto all´ecatombe.

Queste stragi sono gli episodi più spaventosi di un attacco sistematico contro i civili del Darfur che dura da più di un anno. Spesso le razzie dei Janjaweed sono precedute da bombardamenti compiuti dall´Aeronautica di Khartoum oppure da voli di ricognizione in elicottero.

Il governo sudanese ha sempre negato che i suoi soldati partecipino ai massacri a fianco delle milizie. Due indizi terribili però lo accusano. Il primo è stato il rifiuto sistematico - che solo adesso sembra stia per aver fine - di ammettere osservatori imparziali all´interno dei confini del Darfur. Per mesi e mesi i rappresentanti delle Nazioni Unite residenti a Khartoum hanno chiesto di avere accesso alla regione, per potersi fare un´idea della situazioni e valutare i bisogni umanitari della popolazione. I permessi di viaggio sono però sempre stati negati.

Il secondo motivo di sospetto è che quello che sta accadendo in Darfur ha molti precedenti. Fino al 2003 questa parte del Sudan non era stata coinvolta dalla guerra civile che devasta da decenni il paese. Più a sud e più a est però, negli anni passati, altre popolazioni avevano patito altrettanto e in identico modo. I Dinka, gli Shilluk, i Nuba hanno sofferto quello che viene inflitto adesso ai Fur. La stessa combinazioni di guerra hi-tech portata dalle truppe regolari - bombardamenti aerei, avanzate di colonne corazzate, cannoneggiamenti sistematici - e di razzie di predoni arabi, nemici tradizionali delle popolazioni di origine bantu.

Il motivo per cui tutto ciò tocca adesso al Darfur è il calcolo politico e in definitiva il cinismo. Da oltre un anno sono in corso in Kenya colloqui di pace tra governo sudanese e guerriglia del sud. Queste trattative hanno fruttato risultati importanti: accordi parziali sono stati raggiunti e sottoscritti su punti specifici, anche se continua a mancare la parola fine a decenni di guerra. E´ probabilmente per questo, perché la pace è vicina, che i capi dei movimenti ribelli dei Fur hanno deciso di impugnare le armi nel febbraio del 2003. Sparano per poter avere un posto al tavolo delle trattative. Secondo gli specialisti della questione sudanese, inoltre, uno di questi due movimenti, il Jem o Movimento per la giustizia e l´uguaglianza (l´altro, il maggiore, è lo Slm, Sudan Liberation Movement), è legato a fazioni islamiche che adesso si trovano all´opposizione a Khartoum. Destabilizzare il Darfur è per costoro un modo di creare un problema politico al governo del generale Bashir.

Dopo i primi attacchi contro le guarnigioni governative e gruppi di soldati, il governo ha reagito come ha sempre fatto in altre parti del paese: armando le milizie arabe e colpendo indiscriminatamente la popolazione. Lo stesso motivo che aveva portato i Fur sul sentiero di guerra - la trattativa di pace - spingeva il governo a chiudere la crisi manu militari nel più breve tempo possibile. Non aveva alcuna intenzione di aprire un ennesimo fronte di trattativa, coinvolgendo una parte del paese che si trova peraltro molto al di qua della linea che divide il nord dal sud.

Così stavano le cose fino a queste ultime settimane. Poi, in cambio forse dell´assicurazione che il Darfur non sarebbe mai arrivato sul tavolo del negoziato in Kenya, il governo ha accettato un cessate il fuoco. Proprio ieri avrebbe dovuto incontrare gli emissari dei due movimenti in Ciad, in presenza di un rappresentante dell´Unione africana. Ma non è chiaro se gli uomini dello Slm e del Jem si siano davvero presentati, perché non si fidano del governo del Ciad, che sanno molto vicino alle posizioni di quello sudanese.

Poi Khartoum si è piegata alle reiterate richieste dell´Onu, consentendo la visita in Darfur di una missione del Programma alimentare mondiale. Ha dovuto ammettere anche gli osservatori dell´Unione africana. Questi dovrebbero però arrivare sul posto la prossima settimana: ancora non sono lì. A fronte di queste concessioni, una vittoria diplomatica. La Commissione Onu per i diritti umani ha votato l´altro ieri a Ginevra una risoluzione che esprime «preoccupazione» per la situazione in Darfur. Ha però evitato accuratamente di condannare il regime sudanese e di usare l´espressione «pulizia etnica», come chiedeva a gran voce il rappresentante degli Stati Uniti.

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