Da Corriere della Sera del 24/04/2004

Il referendum dovrebbe essere bocciato per il no della comunità greca. Che resiste alle pressioni di Onu e Ue

Cipro, il voto sulla riunificazione rischia di fallire

Nei sondaggi, tra i turchi la maggioranza è per il sì

di Antonio Ferrari

NICOSIA - L’avevano sognata tutti questa festa della riconciliazione, per celebrare la fine di un incubo durato 30 anni. Abbattendo l'ultimo muro d'Europa, le due Cipro, quella greca e quella turca, sarebbero entrate per mano, il 1° maggio, nell'Ue, offrendo un'immagine suggestiva: la ricca Nicosia greca che accompagna la povera Nicosia turca a un matrimonio politico-istituzionale sul modello svizzero, e all'appuntamento con la prosperità.

La festa rimarrà appunto un sogno, perché dall'esito del referendum di oggi, con le due comunità chiamate a dire sì o no al piano di riunificazione pazientemente elaborato dal segretario generale dell'Onu Kofi Annan, rischia di materializzarsi l'incubo di una nuova dolorosa ferita. I sondaggi, infatti, parlano chiaro: è assai probabile che una risicata maggioranza dei 200.000 turco-ciprioti approvi il progetto, e che la grande maggioranza dei 400.000 greco-ciprioti lo respinga. Una sorpresa è sempre possibile, ma se alle previsioni si accostano gli umori della gente, i dubbi svaniscono. Quello di oggi rischia d'essere il funerale del miglior compromesso partorito in tre decenni.

Fra una settimana, quasi certamente, sarà soltanto la Repubblica greco-cipriota a entrare in un'Unione Europea profondamente delusa, come si legge nelle dichiarazioni del commissario Ue per l'allargamento, il tedesco Günter Verheugen, mentre da New York il portavoce dell'Onu sostiene che, in caso di rifiuto, sarà difficile ricominciare i negoziati in tempi brevi. Anche perché il piano è stato concepito dalle Nazioni Unite con il pieno sostegno degli Usa e dell'Ue, e respingerlo è un sonoro ceffone sul volto della Comunità internazionale.

Tutto è paradossale, in questo referendum. Qualche anno fa le resistenze maggiori si trovavano nella comunità turco-cipriota, pilotata dall'intransigenza della Turchia. Ma ora i sogni europei di Ankara, che vuol mostrarsi conciliante e affidabile, sono entrati in rotta di collisione con le bizze del vecchio leader Rauf Denktash, che dice no a tutto. Il contrario è accaduto nella Repubblica greco-cipriota. Prima erano i comunisti dell'Akel (il primo partito) a volere un accordo, contro la rigidità dei conservatori. Ma l'ex presidente Glafcos Clerides, leader del Di-Sy (centro-destra) è favorevole al piano Annan, mentre Akel, dopo molti tentennamenti, ha detto di no. E sul no s'è attestato, con un appassionato intervento, il capo dello Stato, Tassos Papadopoulos, eletto proprio con i voti comunisti. Papadopoulos, però, continua a dire che «il no è un voto per il futuro basato sul piano Annan, caposaldo di ogni soluzione».

Ciò significa che il piano dell'Onu è accettabile in larga parte, non nella sua interezza. Secondo Ioannis Matzis, deputato conservatore, oppositore interno di Clerides, il progetto «è una bomba a orologeria per almeno due ragioni: accetta la presenza sine die di truppe turche e greche sul territorio, e favorisce non la comunità turco-cipriota ma i coloni turchi, che godranno degli stessi diritti».

I sostenitori del sì, che ancora sperano nel miracolo, sono convinti che le conseguenze del rifiuto saranno gravissime: perdita dei fondi europei per la riunificazione (2 miliardi di euro) e patente di «bontà» assegnata alla Turchia. Si domandano anche per quale ragione sul referendum si sia abbattuta improvvisamente la tegola russa. Visto che il problema principale è la sicurezza, tutti attendevano una risoluzione delle Nazioni Unite. Un chiaro pronunciamento (con l'impegno dell'Onu di assumere appunto l'onere della sicurezza) avrebbe potuto influire sugli elettori ciprioti. Usa e Gran Bretagna, sostenitori della bozza, erano convinti che passasse. Quattordici hanno detto sì, ma la Russia ha bloccato la risoluzione. A Mosca, il vice-ministro degli esteri Yuri Fedotov ha spiegato che il veto è dovuto «a tecniche procedurali e non è di natura politica», ma la spiegazione non pare convincente.

Era dal 1993 (proprio su una risoluzione che riguardava Cipro) che Mosca non poneva un veto. Perché lo ha fatto? Le ipotesi degli analisti sono 4, probabilmente coniugate tra di loro: 1) Per ribadire il proprio ruolo di potenza internazionale; 2) Per creare qualche turbativa in vista della cerimonia di allargamento dell’Ue, visto che la maggioranza dei nuovi membri gravitava nell’area di influenza sovietica; 3) Per ragioni finanziarie: a Cipro vi sono numerose società off-shore russe; 4) Per ragioni strategiche: l'isola si affaccia sul Medio Oriente.

Il veto russo, che pare un residuo della guerra fredda, ha probabilmente chiuso la partita di oggi. L’altro paradosso è che, adesso, il fronte del no greco-cipriota, sordo a pressioni e consigli, spera nell’intransigenza di Rauf Denktash. Se il piano fosse respinto anche a nord, sarebbe più facile far digerire il rifiuto.

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