Da La Repubblica del 24/04/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/c/sezioni/esteri/iraqusa/fotoproib/fotop...

Il Pentagono costretto a pubblicare le immagini delle bare

La protesta delle foto proibite sfida al silenzio sui morti in Iraq

Il divieto era stato imposto nel '91 quando scoppiò il conflitto nel Golfo

di Vittorio Zucconi

WASHINGTON - La donna che fotografò la bugia voleva soltanto essere "una madre" e compiere un gesto di pietà per tutti quei figli caduti. Non sapeva che anche una foto può costare più cara di una battaglia perduta e fare di lei una "traditrice della patria" o un'eroina, con un semplice click.

Ma quando Tami Silicio, impiegata di una ditta che lavora per il Pentagono all'aeroporto internazionale del Kuwait, ha scattato le foto delle bare disposte in ordine perfetto come tessere di un domino infinito per essere spedite a casa, e la foto è arrivata a un'America che non ne aveva mai viste tante, i generali, i ministri, la Casa Bianca, i falchi da scrivania che giocano ai soldatini con le vite degli altri hanno sbuffato, tuonato, gridato al tradimento della patria.

La signora è stata licenziata in tronco, e con lei anche il marito, che non c'entrava niente, per buon peso. La gente non deve vedere quale sia il costo della guerra di Bush. Tami Silicio è uno strano Silvio Pellico, per caso e senza volerlo. A cinquant'anni, con un figlio morto bambino per un tumore al cervello e un figlio ventenne che vorrebbe arruolarsi nei marines, non è un'attivista, né una pacifista. Dopo avere lavorato come decoratrice di ricevimenti nel suo stato di Washington e poi come camionista in Bosnia insieme con il marito, Tami accettò l'offerta di una società civile di supporto logistico, la Maytag, una delle centinaia che assistono i militari in guerra, appaltatori civili di servizi che i soldati non fanno.

La sua azienda la mandò con il marito in Kuwait, dunque nelle retrovie, per dare una mano al carico e allo scarico di materiali destinati al fronte e la sera del 7 aprile scorso, quando ventuno bare di alluminio coperte dalle bandiere americane perfettamente, militarmente allineate, furono caricate in una sola notte nel ventre di un C17, non seppe resistere e scattò con la sua macchinetta digitale. Mandò le foto al figlio aspirante marine all'altro capo del mondo, a Seattle, e poche ore dopo le foto erano arrivate al giornale locale, al Seattle Times che giustamente le ha sparate in prima pagina.

Senza, giurano tutti, pagare un centesimo alla signora. Se un sospetto è legittimo è semmai che i soldati abbiano permesso e incoraggiato quelle foto, che un piccolo "complotto della verità" sia stato organizzato dalla truppa, per far vedere finalmente all'America quello che si vorrebbe tenerle nascosto.

Non c'è nulla di grottesco, né di orribile in quelle immagini che ormai sono dilagate su Internet e nessuno potrà mai più riacciuffare, neppure il Pentagono, la Air Force, la Casa Bianca, che tanto si erano adoperati perché non arrivassero mai al pubblico. Per questo commuovono davvero. Le bare sono tante, ventuno, e ordinatamente allineate sui rulli del vano da carico, in uno schieramento da parata che testimonia l'affetto, la cura, la tenerezza con la quale i soldati ancora vivi trattano i loro "bro'", i loro fratelli morti.

Le lunghe strisce rosse delle bandiere americane che le avvolgono tutte come le coperte perfettamente squadrate sulle brande pronte per l'ispezione, formano linee parallele dirette all'infinito, come se volessero indicare un futuro di altre strisce e di altre bare. Sono tutte anonime, nella foto, perché il cartellino che identifica i resti di chi c'è dentro, dei 706 giovani e meno giovani già caduti per abbattere Saddam Hussein e per rieleggere George Bush, non è visibile nelle foto.

Non c'è nulla di visivamente offensivo, che giustifichi il blackout ordinato dal Pentagono "per non invadere la privacy delle famiglie", come dicono con sfacciata ipocrisia, quasi fosse la visione delle bare, e non la morte, a offendere le famiglie. Il divieto è soltanto un'arma nella guerra psicologica, nella "propaganda war", voluto da politici e da generali ossessionati dal timore di perdere la guerra sul fronte del morale interno, di ripiombare in quella "sindrome del Vietnam" che tutti proclamano estinta nelle parole e poi tentano ogni giorno di esorcizzare nei comportamenti pratici.

Il divieto fu introdotto nel 1991, quando scoppiò la Guerra del Golfo Part I, tra Bush il Vecchio e Saddam per liberare e per democratizzare lo sceiccato del Kuwait e Washington temeva che lo scontro con l'armata dei raìs potesse essere prolungato e sanguinoso.

È rimasto in vigore, ma sotto il regno di George il Giovane è divenuto implacabile. Suo padre (come già Reagan prima di lui) e poi Clinton, ebbero almeno il coraggio civile di partecipare a qualche funerale, di guardare negli occhi i parenti dei caduti, fino alla fase più straziante della cerimonia, quando il sergente del plotone d'onore ripiega la bandiera sulla bara a forma di triangolo perfetto, per commemorare il tricorno dei ribelli che liberarono l'America, e la consegna alla famiglia. Bush non ha mai voluto essere presente a nessuno dei 706 funerali (finora), limitandosi a commemorare i caduti in qualche discorso e a visitare un gruppo dei 3.600 feriti (finora), con le due figlie, il giorno di Pasqua. Si commuoverebbe troppo, dicono, un cuore troppo tenero. E in serata è stato proprio il suo portavoce Trent Duffy a dire che George W., vedendo le foto delle bare, è rimasto "commosso".

La grande colpa della signora Silicio, licenziata volontariamente dalla Maytag insieme con il marito per calmare il governo e non perdere il ghiotto contratto, è di avere alzato un lembo del sudario e proprio in questo aprile di sangue che ha visto oltre 100 soldati americani uccisi, un record, e nel quale la Casa Bianca si prepara a fingere - ormai è chiaro e ufficiale - di trasferire la sovranità a un altro gruppo di pupazzi iracheni, ex ufficiali e funzionari baathisti e saddamiti compresi. L'ultimo viaggio delle bare doveva avvenire sempre di notte, nel buio degli obbiettivi e dell'opinione pubblica.

Dovevano essere trasportare alla chetichella tra la morgue di raccolta di tutte le salme, nel Kuwait, all'obitorio militare principale della Air Force, la base aerea di Dover, sull'estuario del fiume Delaware e poi essere consegnate alle famiglie per la sepoltura definitiva. Soltanto allora, se le famiglie lo avessero voluto, giornali e tv avrebbero potuto assistere e raccontare.

Ma ora la politica del sudario ufficiale è stata sollevata dalla signora con la macchina fotografica. Poche ore prima della diffusione delle foto, inaspettatamente il Pentagono si era affrettato a mettere in Internet le proprie foto ufficiali del trasporto delle salme, che poi ha di nuovo oscurato. Un "riesame della decisione" è in corso, tra Casa Bianca, militari, sondaggisti, esperti di media, avvocati che hanno fatto ricorso ai tribunali per spezzare il blackout, per rompere anche questa dissennata bugia di guerra, incrinata da una donna di mezza età con una macchina fotografica.

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