Da Corriere della Sera del 17/04/2004

Il dramma ha portato alla superficie la difficile condizione dell’universo femminile in Arabia

La stella della tv saudita mostra il volto sfigurato

«Io, picchiata dal marito: basta violenza alle donne»

di Elisabetta Rosaspina

GERUSALEMME - Sotto il fascio di luce bianca del pronto soccorso, Rania Al-Baz ha capito due cose: che era ancora viva e che non avrebbe mai più potuto mostrare il suo bellissimo viso alla tivù. Non le serviva uno specchio per sapere che suo marito, questa volta, aveva esagerato: dei lineamenti perfetti, apprezzati ogni mattina dai telespettatori della prima rete saudita, restava una poltiglia di sangue, cartilagine e ossa rotte. Neanche le infermiere avevano potuto riconoscere la celebre «signorina buongiorno», quando quell'uomo l'aveva buttata tra le loro braccia, avvolta in un lenzuolo, in piena notte, al pronto soccorso di un ospedale di Jeddah: «E' morta - aveva farfugliato -, è stato un incidente d'auto, vado a prendere gli altri feriti». Muhammad Bakar Yunus Al-Fallatta si era dileguato senza lasciare il tempo ai medici di fare domande: probabilmente credeva che neppure sua moglie sarebbe stata più in grado di dare risposte. E tanto meno di articolare la sorprendente supplica: «Avvertite i giornali».

Nessun cronista saudita si muoverebbe dalla redazione per una donna gonfiata di botte dal marito. Nessun fotografo correrebbe a riprendere in ospedale la faccia tumefatta di una moglie maltrattata nella discrezione delle mura domestiche. Ma sono sei anni che Rania Al-Baz entra ogni mattina in tutte le case saudite con quell'ovale sottile esaltato dal velo stretto sotto il mento. Tutti conoscevano i suoi zigomi alti, i suoi occhi allungati, le sue labbra ben disegnate. Diventava affare di tutti che niente di ciò esistesse più. Era arrivato il momento che anche l'opinione pubblica saudita verificasse come la violenza coniugale possa cambiare i connotati di una vita: Rania ha offerto i suoi, forse per l'ultima volta, a spettatori e lettori di tutto il Golfo. Si è congedata dal suo pubblico con gli occhi chiusi, fradici di sangue, raggrumato anche attorno al naso, alla bocca e fra i capelli, un chiodo infilato nella narice per aiutarla a respirare, le mascelle scomposte dalle fratture, tredici, che hanno devastato il suo volto.

L'annunciatrice ha mandato in onda la sua sofferenza e la sua vergogna, con poche parole di presentazione: «Voglio adoperare quel che mi è accaduto perché si cominci a parlare della violenza sulle donne in Arabia Saudita». Era evidentemente un programma molto atteso. La principessa Sarah Al-Anqari, moglie del governatore Abdul Majeed, è stata la prima a non cambiare canale: «Pagherò tutte le spese mediche - ha promesso a Rania, ordinando il suo trasferimento in un centro specializzato -, voglio che sia curata dai migliori professionisti dell'ospedale King Faisal». Ma non è soltanto una questione chirurgica: «Mi occuperò io di tutelare adesso gli interessi di Rania - è intervenuta Jawhara Al-Anqari, dirigente dell'Associazione nazionale per i diritti umani -. Otterremo che sia fatta giustizia per lei».

Lei ha già ottenuto che si rompesse il silenzio per le altre: «E' una violenza diffusissima e non solo qui» è stata finalmente intervistata sull'argomento Dima Al-Sulaiman della National Home Health Care Foundation: «Gli abusi iniziano già durante l'infanzia, per l'educazione impartita dai genitori ai figli e alle figlie». I ragazzi, spiega ad Arab News l'imprenditrice Dina Arif, diventano «uomini convinti che non ci sia altro modo per risolvere i problemi. Non sanno discutere tranquillamente con una donna». Con prudenza, e qualche eccezione, i giornali, le tivù e le radio saudite hanno diffuso i dettagli anche più scabrosi del feroce pestaggio con cui Muhammad Al-Fallatta, cantante disoccupato, pensava di dirimere le divergenze con la moglie, affermata star televisiva. Una riedizione mediorientale della notte di Vilnius tra l'attrice francese Marie Trintignant e il cantante Betrand Cantat. Anche lì, a scatenare il dramma, è stata una telefonata.

Quando ha visto Rania rispondere al telefono, Muhammad ha perso le staffe. Il motivo non sa spiegarlo neanche lei, che pure alle rabbie violente del consorte era abituata: «Lei lo ha supplicato di non picchiarla - racconta la madre di Rania - ma lui le ha riso in faccia: picchiarti? Non sto per picchiarti, sto per ammazzarti».

Ha immobilizzato Rania in ginocchio e ha cominciato a colpirla al viso con pugni e schiaffi, l'ha presa per i capelli e le ha sbattuto la testa contro il pavimento. L'ha inseguita quando lei è riuscita ad alzarsi e di nuovo le ha sbattuto la faccia contro il muro. «Mi ha stretto le mani attorno al collo e mi ha detto: prega, perché stai per morire - continua Rania -. Mi ha lasciato ripetere tre volte: non c'è altro Dio che Allah e Maometto è il suo profeta. Poi ha ricominciato a picchiarmi».

Quando si è accorto che Rania era svenuta, Al-Fallatta si è fatto una doccia, si è cambiato, ha avvolto il corpo in un lenzuolo e lo ha caricato sull'auto di famiglia. Gli restava da scegliere se nascondere un cadavere o trovare un ospedale: ha sentito un lamento provenire dal bagagliaio e si è diretto verso il pronto soccorso. Ora è ricercato, inseguito da un'accusa per tentato omicidio: «Spero che la polizia lo trovi - dice la moglie - ma non perché lui finisca in prigione. E' depresso da anni per la mancanza di lavoro, ho paura che commetta qualche atto contro se stesso». Al figlio, Saud, 5 anni, che ha assistito dal vivo al massacro della madre, Rania ha cercato di mentire: «No, non è stato papà». La sorella del marito, che lavora in una radio, ha rifiutato commenti: «Insomma, sono faccende di famiglia». Davvero? Cominciano a chiedersi gli opinionisti locali, ma solo sui giornali in lingua inglese. Quelli arabi hanno altro di cui occuparsi. Per esempio, le sorprendenti indiscrezioni, secondo cui il ministro del Commercio intenderebbe abolire la regola che impone a qualunque donna che voglia intraprendere un'attività commerciale o d'affari di avere un tutore uomo: «Molte donne vivevano in virtuale schiavitù, sotto il controllo di custodi che pretendevano percentuali altissime» ricorda Arab News . E guai se ne nasce una discussione.

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