Da Corriere della Sera del 15/04/2004
Il presidente americano: «La barriera di sicurezza deve essere temporanea». All’Anp: «Rinunciate al terrore, avrete il vostro Stato»
Bush a Sharon, via libera al ritiro da Gaza
Svolta della Casa Bianca. Israele potrà mantenere zone della Cisgiordania. «Irrealistico» il ritorno dei profughi
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Bush, il primo presidente Usa a fissare come obiettivo la formazione di uno Stato della Palestina, benedice il piano del premier israeliano Sharon che rischia di silurarlo. Ricevendo l’ospite alla Casa Bianca, avalla la tesi che Israele abbia il diritto di conservare alcuni dei suoi insediamenti in Cisgiordania. Ma nega che i rifugiati palestinesi abbiano il diritto di ritornare nei loro territori di origine a Israele. «E’ irrealistico - dichiara Bush a fianco di Sharon - pensare di ripristinare i confini del ’49. Bisogna tenere conto delle nuove realtà sul campo. La sistemazione giusta dei rifugiati è in uno Stato della Palestina».
E’ una svolta preannunciata, ma egualmente traumatica: dopo il tête-à-tête con Sharon, preparato con cura per settimane e settimane, il presidente rovescia la politica di tutti i predecessori, il padre incluso. Ne è consapevole e lo giustifica con una serie di moniti all’alleato, a cui garantisce la difesa di Israele, ma che invita a un dialogo costruttivo. «L’azione storica e coraggiosa del premier israeliano - avverte - deve portare alla realizzazione della road map , le trattative di pace, non al suo abbandono». Di più. «La barriera eretta in Palestina deve essere una barriera di sicurezza, non politica, temporanea e non permanente, non deve pregiudicare l’accordo finale sui confini».
Bush rivolge un accorato appello ai palestinesi. Bisogna che vedano nel piano Sharon un’opportunità, non un sopruso: «L’opportunità di porre fine a uno dei conflitti più lunghi al mondo, di stabilire le premesse di uno Stato autonomo, di instaurare la liberà e la democrazia, di promuovere lo sviluppo economico». Il presidente li esorta a «combattere il terrorismo, varare le riforme e dotarsi di istituzioni moderne». Promette una mediazione onesta, e la mobilitazione del «quartetto» Usa, Ue, Onu e Russia. «Se tutte le parti si assumeranno le loro responsabilità - conclude - Israele e la Palestina potranno convivere in pace».
Le parole di Bush sono nobili ma la sua scelta di campo è netta. Per questo, da Ramallah, il premier palestinese protesta: e risponde che dice Abu Ala: «Questo è primo leader Usa a dare legittimità alle colonie nei Territori. Non possiamo accettare questo piano, così non ci sarà mai pace». A Washington, il presidente nega recisamente che il piano di Sharon preluda a nuovi scontri: «Ai palestinesi chiedo di mostrare lo stesso coraggio di Sharon. Noi possiamo aiutare, ma il compito più difficile è il loro». Sharon ha il sorriso del vincitore.
«Il mio piano ridurrà le tensioni e faciliterà il ritorno alle trattative. E garantirà la sicurezza e la prosperità di Israele». Rivolto a Bush il premier proclama di non avere «mai incontrato un leader così deciso a sostenerci e così deciso a sconfiggere il terrorismo».
E’ una svolta preannunciata, ma egualmente traumatica: dopo il tête-à-tête con Sharon, preparato con cura per settimane e settimane, il presidente rovescia la politica di tutti i predecessori, il padre incluso. Ne è consapevole e lo giustifica con una serie di moniti all’alleato, a cui garantisce la difesa di Israele, ma che invita a un dialogo costruttivo. «L’azione storica e coraggiosa del premier israeliano - avverte - deve portare alla realizzazione della road map , le trattative di pace, non al suo abbandono». Di più. «La barriera eretta in Palestina deve essere una barriera di sicurezza, non politica, temporanea e non permanente, non deve pregiudicare l’accordo finale sui confini».
Bush rivolge un accorato appello ai palestinesi. Bisogna che vedano nel piano Sharon un’opportunità, non un sopruso: «L’opportunità di porre fine a uno dei conflitti più lunghi al mondo, di stabilire le premesse di uno Stato autonomo, di instaurare la liberà e la democrazia, di promuovere lo sviluppo economico». Il presidente li esorta a «combattere il terrorismo, varare le riforme e dotarsi di istituzioni moderne». Promette una mediazione onesta, e la mobilitazione del «quartetto» Usa, Ue, Onu e Russia. «Se tutte le parti si assumeranno le loro responsabilità - conclude - Israele e la Palestina potranno convivere in pace».
Le parole di Bush sono nobili ma la sua scelta di campo è netta. Per questo, da Ramallah, il premier palestinese protesta: e risponde che dice Abu Ala: «Questo è primo leader Usa a dare legittimità alle colonie nei Territori. Non possiamo accettare questo piano, così non ci sarà mai pace». A Washington, il presidente nega recisamente che il piano di Sharon preluda a nuovi scontri: «Ai palestinesi chiedo di mostrare lo stesso coraggio di Sharon. Noi possiamo aiutare, ma il compito più difficile è il loro». Sharon ha il sorriso del vincitore.
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