Da Corriere della Sera del 13/04/2004
«Ora l’America deve salvare l’alleanza con l’Europa»
Kagan, il politologo dei neocon: più sensibilità verso la Ue, l’equilibrio delle forze è a favore di Chirac e Schröder
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Da oltre un mese, alla luce della tragedia dell'Iraq, Robert Kagan, il fustigatore dell'Europa, il teorico del suo divario dall'America - «gli europei sono figli di Venere, noi di Marte» - si pone il problema della legittimazione degli interventi militari americani nel mondo e delle loro conseguenze. In una nuova prefazione al suo celebre libro, «Del paradiso e del potere: America ed Europa nel nuovo ordine mondiale», in una lunga deposizione al Congresso, e in alcuni articoli sui grandi quotidiani, Kagan, un maestro del pensiero neoconservatore, è venuto ribadendo che la legittimazione dovrebbe provenire, più che dall'Onu, dal consenso occidentale. E riesaminando gli effetti della guerra dell'Iraq sulla solidarietà atlantica, effetti potenzialmente distruttivi, ha richiamato l'America e l'Europa all'obbligo del dialogo e la cooperazione. «E' ora di salvare l'Alleanza - afferma - perché è il perno dell'equilibrio internazionale, e perché l'America non può sconfiggere il terrorismo senza l'Europa come l'Europa non può sconfiggerlo senza l'America». Lo studioso esorta Bush «a prendere atto in fretta della crisi transatlantica e recuperare il rapporto con gli alleati» e Chirac e compagni «a guardare oltre all'Iraq in modo costruttivo».
E' una revisione, sia pure parziale, delle posizioni da lui assunte un anno fa, quando mise sotto processo l'Ue. Oggi Kagan critica anche Bush, al punto di rammaricarsi al Congresso che il presidente non abbia ancora lanciato un blitz diplomatico presso gli alleati e di rilevare che la distinzione tra nuova e vecchia Europa «poggia sulla sabbia di una pubblica opinione che cambia», un riferimento al voto della Spagna. Ma nel riesame di Kagan c'è un punto fermo, su cui egli invita l'Europa a riflettere «affinché non ricada nell'errore di Monaco del 1938», il compromesso con il nemico. «L'Occidente - ha ammonito il politologo al Congresso - non può perdere l'Iraq, se lo perdesse la Siria ne sarebbe imbaldanzita, l'Iran potenziato; l'Afghanistan, il Pakistan e l'Arabia saudita si troverebbero a rischio; la Turchia potrebbe avvicinarsi al radicalismo islamico». L'Islam e il terrorismo, ha concluso, penserebbero che l'America è sì capace di impiegare la forza, ma non a lungo, che basta aspettare per sconfiggerla.
In un'intervista al Corriere , Kagan ha precisato quale sia a suo parere il problema di fondo tra l'America e l'Europa. «Non è la guerra preventiva. Per gli europei, essa è più accettabile di un anno fa, tanto che ne chiedono soltanto più l'approvazione dell'Onu. Il problema di fondo è la enorme predominanza dell'America. Qui occorre una grande intesa, difficile sia per voi sia per noi, ma indispensabile: l'America deve mostrarsi più sensibile alle istanze europee, e l'Europa deve sforzarsi di capire e condividere l'analisi Usa della minaccia terroristica. Una minaccia che potrebbe ripresentarsi con i figli di Al Qaeda, o Paesi come l'Iran». E polemizza con Prodi: «Mi pare che metta in dubbio l'uso della forza contro il terrorismo, un concetto che vorrei che l'Ue ripudiasse. In America, lo respinge anche il candidato democratico alla Presidenza John Kerry. Kerry protesta che la guerra dell’Iraq fu la risposta sbagliata, ma non rinnega la campagna contro il terrorismo».
Il teorico neoconservatore ammette che il conflitto iracheno potrebbe essere stato controproducente: «Potrebbe avere distolto risorse dalla lotta ad Al Qaeda, accentuato l'estremismo islamico, indebolito la coalizione formata da Bush, diviso l'Europa». Ma scorge anche in esso «una buona opportunità» di rafforzare l'Alleanza atlantica con il ritorno a quel consenso interno che permise all'Occidente di vincere la guerra fredda: «E' importante che la ricostruzione dell'Iraq sia legittimata da una risoluzione dell'Onu per una forza multinazionale e un ruolo politico del Palazzo di Vetro. La mia critica a Bush è che non facilita questo processo». Se «la grande intesa» non fosse raggiunta, termina Kagan, l'Alleanza si spaccherebbe, e la colpa sarebbe anche dell'America. «Ripeto. Gli europei non possono tirarsi indietro, perché darebbero più spazio al terrorismo. Ma noi dobbiamo renderci conto che non sono degli americani che parlano francese molto meglio di noi; che sono assorbiti dalla ricerca di una Costituzione; che guardano sempre più all'interno; che l'equilibrio delle forze oggi è a favore di Chirac e Schröder».
Se Kerry vincesse le elezioni, cambierebbe qualcosa? Kagan sorride. «Nessuno può fare pronostici, in politica sei mesi - tanto manca al voto - sono un’eternità. Ma gli europei commetterebbero un errore se si illudessero che Kerry rinuncerebbe a ricorrere alla forza quando fossero in gioco gli interessi nazionali. Ci sarebbe una continuità nella politica estera americana. Lo indica anche la reazione quasi unanime dei nostri elettori al voto in Spagna. E' sembrata loro una resa al terrorismo, perché gli spagnoli hanno visto nella strage di Madrid una conseguenza del conflitto iracheno. Siamo di fronte a una minaccia globale, che richiede una risposta globale, e dobbiamo essere uniti e decisi. E quale alternativa ci offre l'Europa? E' chiara ed efficace? Esiste veramente?». Kagan si congeda con un commento sull'Italia: «Sebbene si muova tra palesi difficoltà, Berlusconi mantiene il controllo e sembra in grado di sopravvivere alle scosse. Inoltre, la vostra reazione alla strage di Nassiriya, anche a livello popolare, fu coraggiosa e ferma, e la vostra condotta negli ultimi giorni è stata esemplare».
E' una revisione, sia pure parziale, delle posizioni da lui assunte un anno fa, quando mise sotto processo l'Ue. Oggi Kagan critica anche Bush, al punto di rammaricarsi al Congresso che il presidente non abbia ancora lanciato un blitz diplomatico presso gli alleati e di rilevare che la distinzione tra nuova e vecchia Europa «poggia sulla sabbia di una pubblica opinione che cambia», un riferimento al voto della Spagna. Ma nel riesame di Kagan c'è un punto fermo, su cui egli invita l'Europa a riflettere «affinché non ricada nell'errore di Monaco del 1938», il compromesso con il nemico. «L'Occidente - ha ammonito il politologo al Congresso - non può perdere l'Iraq, se lo perdesse la Siria ne sarebbe imbaldanzita, l'Iran potenziato; l'Afghanistan, il Pakistan e l'Arabia saudita si troverebbero a rischio; la Turchia potrebbe avvicinarsi al radicalismo islamico». L'Islam e il terrorismo, ha concluso, penserebbero che l'America è sì capace di impiegare la forza, ma non a lungo, che basta aspettare per sconfiggerla.
In un'intervista al Corriere , Kagan ha precisato quale sia a suo parere il problema di fondo tra l'America e l'Europa. «Non è la guerra preventiva. Per gli europei, essa è più accettabile di un anno fa, tanto che ne chiedono soltanto più l'approvazione dell'Onu. Il problema di fondo è la enorme predominanza dell'America. Qui occorre una grande intesa, difficile sia per voi sia per noi, ma indispensabile: l'America deve mostrarsi più sensibile alle istanze europee, e l'Europa deve sforzarsi di capire e condividere l'analisi Usa della minaccia terroristica. Una minaccia che potrebbe ripresentarsi con i figli di Al Qaeda, o Paesi come l'Iran». E polemizza con Prodi: «Mi pare che metta in dubbio l'uso della forza contro il terrorismo, un concetto che vorrei che l'Ue ripudiasse. In America, lo respinge anche il candidato democratico alla Presidenza John Kerry. Kerry protesta che la guerra dell’Iraq fu la risposta sbagliata, ma non rinnega la campagna contro il terrorismo».
Il teorico neoconservatore ammette che il conflitto iracheno potrebbe essere stato controproducente: «Potrebbe avere distolto risorse dalla lotta ad Al Qaeda, accentuato l'estremismo islamico, indebolito la coalizione formata da Bush, diviso l'Europa». Ma scorge anche in esso «una buona opportunità» di rafforzare l'Alleanza atlantica con il ritorno a quel consenso interno che permise all'Occidente di vincere la guerra fredda: «E' importante che la ricostruzione dell'Iraq sia legittimata da una risoluzione dell'Onu per una forza multinazionale e un ruolo politico del Palazzo di Vetro. La mia critica a Bush è che non facilita questo processo». Se «la grande intesa» non fosse raggiunta, termina Kagan, l'Alleanza si spaccherebbe, e la colpa sarebbe anche dell'America. «Ripeto. Gli europei non possono tirarsi indietro, perché darebbero più spazio al terrorismo. Ma noi dobbiamo renderci conto che non sono degli americani che parlano francese molto meglio di noi; che sono assorbiti dalla ricerca di una Costituzione; che guardano sempre più all'interno; che l'equilibrio delle forze oggi è a favore di Chirac e Schröder».
Se Kerry vincesse le elezioni, cambierebbe qualcosa? Kagan sorride. «Nessuno può fare pronostici, in politica sei mesi - tanto manca al voto - sono un’eternità. Ma gli europei commetterebbero un errore se si illudessero che Kerry rinuncerebbe a ricorrere alla forza quando fossero in gioco gli interessi nazionali. Ci sarebbe una continuità nella politica estera americana. Lo indica anche la reazione quasi unanime dei nostri elettori al voto in Spagna. E' sembrata loro una resa al terrorismo, perché gli spagnoli hanno visto nella strage di Madrid una conseguenza del conflitto iracheno. Siamo di fronte a una minaccia globale, che richiede una risposta globale, e dobbiamo essere uniti e decisi. E quale alternativa ci offre l'Europa? E' chiara ed efficace? Esiste veramente?». Kagan si congeda con un commento sull'Italia: «Sebbene si muova tra palesi difficoltà, Berlusconi mantiene il controllo e sembra in grado di sopravvivere alle scosse. Inoltre, la vostra reazione alla strage di Nassiriya, anche a livello popolare, fu coraggiosa e ferma, e la vostra condotta negli ultimi giorni è stata esemplare».
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