Da La Repubblica del 09/04/2004

La debolezza dell´Impero americano

di Lucio Caracciolo

L´America è un paese-continente dotato di una peculiare idea di sé, oscillante fra l´aspirazione a godere del proprio orto fiorito e la vocazione a redimere l´umanità. In ogni caso, non una nazione fra le altre. Sia che prevalessero - secondo le pigre categorie della scienza politica - gli "isolazionisti", i coltivatori del modello, o gli "universalisti", i suoi esportatori, l´America non si è mai sentita parte di un sistema internazionale. La scelta è sempre stata fra ritrarsene o sovrastarlo. Di più: occuparsi di sé e della propria famiglia, oppure cercare di diventare il sistema internazionale. Equilibrio della potenza? No grazie. (?)

Sia i laudatori che i denigratori dell´"impero americano" finiscono per sopravvalutarlo. L´America è meno forte e molto meno sicura di quanto appaia. Ogni potenza è relativa. E´ limitata nello spazio e nel tempo. Nessuno può ordinare da solo il mondo. Se tenta di farlo, si indebolisce. Più il colosso si espone in operazioni "imperiali" lontano da casa, più diluisce la sua potenza e si rivela vulnerabile.

È questa la scommessa di Osama bin Laden e dei suoi accoliti. L´obiettivo primario dei terroristi islamici è di costringere gli Stati Uniti a spendere la forza militare in un continuo gioco al rilancio. Il loro sogno è la "guerra preventiva" permanente. Per quanto impareggiabile sia la potenza a stelle e strisce, essa perde molta della sua efficacia se impiegata in un contesto asimmetrico. Può anzi rivelarsi controproducente. Gli arsenali atomici, i bombardieri e le portaerei non servono contro le bande dei terroristi. Il tentativo di riconvenzionalizzare la guerra colpendo gli "Stati sponsor" - o meglio, i più deboli fra loro - sta incontrando i suoi limiti. Mancano i soldi e mancano i soldati. Il Congresso ha approvato quest´anno lo stanziamento di 400 miliardi di dollari per la difesa nazionale. Nel 2013, in assenza di correzioni, la spesa toccherebbe i 600 miliardi. La sola occupazione dell´Iraq costa 48 miliardi all´anno. Già si osserva fra i parlamentari e persino nell´esecutivo la tendenza a porre un tetto a queste spese, dato l´enorme deficit federale.

Inoltre, le Forze armate americane operano quasi al limite delle proprie risorse. Gli Stati Uniti dispongono oggi di 400mila soldati, uomini e donne, più 500mila riservisti. Il Pentagono conta quasi 7mila basi (702 oltremare e circa 6mila sul territorio nazionale). Truppe statunitensi sono ospitate da oltre 140 paesi. Uno schieramento impressionante, ma insufficiente a gestire l´occupazione prolungata dei territori strappati al nemico. Senza contare le possibili nuove campagne di una guerra che secondo Bush potrà anche durare decenni.

Contrariamente alle aspettative della Casa Bianca, l´ostentazione della strapotenza militare in Iraq non ha rafforzato l´immagine degli Stati Uniti. Nelle prime settimane dopo la caduta di Saddam, i governi mediorientali sembravano scioccati dall´esibizione di muscoli a stelle e strisce. A mano a mano che i soldati Usa incontravano una resistenza tuttora non domata, la vittoria si insabbiava. A fronte di qualche leader reso forse più remissivo, monta fra gli islamici la marea dell´odio antiamericano.

Ecco un altro paradosso. Se davvero Bush riuscisse a democratizzare il Medio Oriente, lo lascerebbe probabilmente in mani fondamentaliste, fanaticamente antiamericane. Secondo una recente inchiesta del Pew Research Center in quattro paesi islamici, Osama bin Laden è più popolare di Bush in Pakistan (65% contro 7% di opinioni favorevoli), Giordania (55% contro 3%) e Marocco (45% contro 8%), mentre nell´alleata Turchia Bush prevarrebbe non di moltissimo (21% a 11%) O impero o democrazia.

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