Da Corriere della Sera del 07/04/2004

Il ministro Frattini consulta Teheran. Che a giugno aveva ricevuto Al Sadr con tutti gli onori dal potente Rafsanjani

«L’Iran userà la sua influenza per portare la calma»

di Paolo Conti

Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha parlato ieri col suo collega iraniano, Khamal Kharrazi: «Proprio perché l’Iran ha una forte influenza sulla comunità sciita all’interno dell’Iraq, il ministro degli Esteri ha assicurato che avrebbe esercitato la sua influenza per incoraggiare un rasserenamento della situazione». Kharrazi si trovava a Mosca per una conferenza dei Paesi del Caspio. A Teheran assicurano che abbia ribadito la posizione ufficiale del suo Paese: l’Iran non desidera un Iraq preda di una guerra civile, per questa ragione Teheran, nei mesi scorsi, ha tentato di giocare un ruolo di stabilizzazione dialogando col governo provvisorio iracheno e scambiando visite ufficiali. Le frontiere tra i due Paesi (lunghe mille chilometri) sono di fatto chiuse per decisione di Teheran dopo le stragi dell’Ashura. Passano solo delegazioni ufficiali e proprio ieri il ministero degli Interni ha sospeso i pellegrinaggi verso le città sante sciite in Iraq. Teheran aveva concordato nei giorni scorsi con Bagdad un afflusso quotidiano di 1.500 persone. Ma le sommosse hanno cambiato i piani.

L’Iran è sempre stato ostile all’intervento delle forze alleate in Iraq. E i sentimenti anti-americani dell’establishment di Teheran non hanno avuto tentennamenti nemmeno nelle ore della caduta di quel mortale nemico dell’Iran che era Saddam Hussein. Il presidente Mohammad Khatami, accerchiato dopo la vittoria dei conservatori alle elezioni politiche, ha ripetuto ieri la linea ufficiale: «Coloro che in Iraq, davanti alle manifestazioni popolari, passano sopra la gente con i carri armati non hanno alcun diritto di parlare di diritti umani». Invece i rapporti tra lo sciismo iraniano e quello iracheno sono di complessa lettura dopo l’attentato di Najaf del 29 agosto 2003 in cui morì l’ayatollah Seyyed Mohammed Baker Al Hakim. Era lui il ponte tra lo sciismo iraniano e quello iracheno. Di fatto era l’uomo che Teheran, dopo tredici anni di esilio in Iran, avrebbe voluto alla guida almeno spirituale se non politica dell’Iraq del dopo Saddam. Al Hakim, per la sua caratura intellettuale, metteva d’accordo un po’ tutti, dai conservatori-oltranzisti ai religiosi progressisti modello Khatami.

E adesso? A giugno Moqtada Al Sadr era stato ricevuto a Teheran con tutti gli onori e il potente Rafsanjani lo aveva accolto con particolare riguardo. Ma nella capitale iraniana molti sottolineano come lo stesso trattamento sia stato riservato ad altri esponenti del nuovo Iraq, sunniti compresi. Per il quotidiano Al-Siyassah del Kuwait, Al Sadr sarebbe «uno strumento telecomandato da Teheran». Ma dire Teheran significa indicare tanti possibili luoghi di comando: i servizi segreti o i Pasdaran della rivoluzione, per esempio. Certo non l’isolato governo progressista che a maggio dovrà fare i conti con un Parlamento conservatore.

In tutto questo, l’Iran sta tentando in queste ore di chiudere la vertenza con l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea). Dal 9 aprile sospenderà «volontariamente» anche la produzione di parti e l'assemblaggio di nuove centrifughe per l'arricchimento dell'uranio. Una mossa che svela la gran voglia dell’Iran di non sentirsi più nel mirino degli Usa. La conclusione del capitolo Aiea renderebbe l’Iran più credibile nelle ipotetiche vesti di mediatore con lo sciismo iracheno.

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