Da La Stampa del 05/04/2004
Osservatorio
Il nodo di Cipro per l’Europa che si allarga
Il 24 aprile le comunità greca e turca andranno alle urne per due referendum sul piano di riunificazione dell’isola: le previsioni volgono al peggio e per l’Ue sarà un pasticcio
di Aldo Rizzo
Finale di partita a Cipro. Diciannove giorni da oggi e poi si saprà se, caso senza precedenti, sarà solo una parte, e sia pure la parte maggiore, di uno Stato o di un Paese a diventare membro ufficiale dell'Unione europea, il 1° maggio. Diciannove giorni vuol dire il 24 aprile, data dell'Onu per due refendum popolari nelle comunità greca e turca su un piano di riunificazione, sul quale i responsabili politici delle due parti non hanno raggiunto un accordo. Le speranze non sono perdute, ma le previsioni, al momento, volgono al peggio, cioè a un no della maggioranza greco-cipriota, di fronte a un sì, più o meno ampio, della minoranza turca. Se così fosse, il pasticcio sarebbe grande e andrebbe ben al di là delle dimensioni locali di una disputa antica.
Vediamole subito, le conseguenze di una divisione confermata.
Intanto andrebbe persa per chissà quanto tempo, sarebbe praticamente rinviata «sine die», la prospettiva di una riunificazione.
Voglio dire che non ci sarebbero nuovi tentativi in un tempo prevedibile. Un fallimento dei referendum non sarebbe un ennesimo passaggio tattico, sperando in accordi migliori, ma una pietra tombale, o quasi, sui negoziati tra le due comunità. Entrerebbe nell'Ue la Repubblica «greca», che è, sì, la sola internazionalmente riconosciuta per l'intera Cipro, mentre la sedicente Repubblica del Nord ha soltanto l'avallo della Turchia, ma che di fatto controlla due terzi del proprio territorio. Il restante terzo è militarmente occupato da un Paese straniero, che è appunto la Turchia. Dunque, un confine esterno dell'Unione europea passerebbe attraverso una linea di divisione interna di un suo Stato membro. Ancora. L'ingresso nell'Ue della parte greca, già più sviluppata economicamente, e non di quella turca, accentuerebbe lo squilibrio dei livelli di vita, fomentando nuovi motivi di rivalità e di rivalsa, col rischio di riaccendere tensioni etniche e religiose, tra cristiani (greci) e musulmani (turchi), sullo sfondo di un Mediterraneo che già incuba, e non solo, un conflitto epocale di questo tipo. Infine, tutto ciò non potrebbe non avere conseguenze sul rapporto cruciale tra le due madrepatrie, o se si preferisce tra i due Paesi di riferimento, la Grecia di Atene e la Turchia di Ankara, un rapporto che si era da poco addolcito, dopo le tante e drammatiche asprezze del passato.
Dicevo che è un caso senza precedenti, ma un precedente c'è, quello delle due Germanie, con la Repubblica federale (occidentale) addirittura cofondatrice dell'allora Comunità europea, mentre la sedicente Repubblica democratica (comunista) era di fatto occupata dall'Urss. Ma si capisce quanto arduo sia il paragone. Quella è una storia di mezzo secolo fa, in un mondo che era esso stesso, nel suo insieme, spaccato, e la Germania era il simbolo, e la posta, della spaccatura. Ora viviamo in un mondo diverso, con altre minacce, rispetto alle quali quelli di Cipro sembrano problemi «municipali». A maggior ragione, paiono quasi incomprensibili, tuttavia restando assai delicati, nel nuovo contesto.
E' curioso che, dopo anni e anni d'intransigenza turco-cipriota, sostenuta da quarantamila soldati di Ankara (che però invasero la parte Nord dell'isola, nel 1974, per reazione a un colpo di Stato che mirava a un'annessione di Cipro alla Grecia), ora siano i dirigenti greci di Nicosia a opporsi a un accordo pacificatore. Questioni complicate di percentuali di territorio da restituire o ottenere, e di profughi «etnici» da reinsediare. Ma il piano curato e rivisto personalmente da Kofi Annan si è sforzato di essere equo, in particolare conciliando la necessità di un potere federale o confederale, invocata dalla maggioranza greca, con la più ampia autonomia interna delle due comunità, chiesta dalla minoranza turca. Non è bastato, nonostante l'opera del segretario dell'Onu sia stata fortemente sostenuta dall'Ue e dagli Usa. Forse la certezza di essere comunque, loro, nell'Unione europea ha abbassato i livelli di solidarietà dei greco-ciprioti.
Ora siamo al finale di partita. Oltre gli stretti confini dell'isola, sono in gioco la candidatura della stessa Turchia all'Ue, la credibilità europea del nuovo governo greco. Sarà forte il «pressing» internazionale, perché almeno questo nodo si sciolga, mentre l'Europa si «allarga» e il Mediterraneo ribolle.
Vediamole subito, le conseguenze di una divisione confermata.
Intanto andrebbe persa per chissà quanto tempo, sarebbe praticamente rinviata «sine die», la prospettiva di una riunificazione.
Voglio dire che non ci sarebbero nuovi tentativi in un tempo prevedibile. Un fallimento dei referendum non sarebbe un ennesimo passaggio tattico, sperando in accordi migliori, ma una pietra tombale, o quasi, sui negoziati tra le due comunità. Entrerebbe nell'Ue la Repubblica «greca», che è, sì, la sola internazionalmente riconosciuta per l'intera Cipro, mentre la sedicente Repubblica del Nord ha soltanto l'avallo della Turchia, ma che di fatto controlla due terzi del proprio territorio. Il restante terzo è militarmente occupato da un Paese straniero, che è appunto la Turchia. Dunque, un confine esterno dell'Unione europea passerebbe attraverso una linea di divisione interna di un suo Stato membro. Ancora. L'ingresso nell'Ue della parte greca, già più sviluppata economicamente, e non di quella turca, accentuerebbe lo squilibrio dei livelli di vita, fomentando nuovi motivi di rivalità e di rivalsa, col rischio di riaccendere tensioni etniche e religiose, tra cristiani (greci) e musulmani (turchi), sullo sfondo di un Mediterraneo che già incuba, e non solo, un conflitto epocale di questo tipo. Infine, tutto ciò non potrebbe non avere conseguenze sul rapporto cruciale tra le due madrepatrie, o se si preferisce tra i due Paesi di riferimento, la Grecia di Atene e la Turchia di Ankara, un rapporto che si era da poco addolcito, dopo le tante e drammatiche asprezze del passato.
Dicevo che è un caso senza precedenti, ma un precedente c'è, quello delle due Germanie, con la Repubblica federale (occidentale) addirittura cofondatrice dell'allora Comunità europea, mentre la sedicente Repubblica democratica (comunista) era di fatto occupata dall'Urss. Ma si capisce quanto arduo sia il paragone. Quella è una storia di mezzo secolo fa, in un mondo che era esso stesso, nel suo insieme, spaccato, e la Germania era il simbolo, e la posta, della spaccatura. Ora viviamo in un mondo diverso, con altre minacce, rispetto alle quali quelli di Cipro sembrano problemi «municipali». A maggior ragione, paiono quasi incomprensibili, tuttavia restando assai delicati, nel nuovo contesto.
E' curioso che, dopo anni e anni d'intransigenza turco-cipriota, sostenuta da quarantamila soldati di Ankara (che però invasero la parte Nord dell'isola, nel 1974, per reazione a un colpo di Stato che mirava a un'annessione di Cipro alla Grecia), ora siano i dirigenti greci di Nicosia a opporsi a un accordo pacificatore. Questioni complicate di percentuali di territorio da restituire o ottenere, e di profughi «etnici» da reinsediare. Ma il piano curato e rivisto personalmente da Kofi Annan si è sforzato di essere equo, in particolare conciliando la necessità di un potere federale o confederale, invocata dalla maggioranza greca, con la più ampia autonomia interna delle due comunità, chiesta dalla minoranza turca. Non è bastato, nonostante l'opera del segretario dell'Onu sia stata fortemente sostenuta dall'Ue e dagli Usa. Forse la certezza di essere comunque, loro, nell'Unione europea ha abbassato i livelli di solidarietà dei greco-ciprioti.
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