Da Corriere della Sera del 02/04/2004

Leader politici e media si chiedono se le immagini del linciaggio porteranno al graduale disimpegno

E l’America si divide sull’orrore in prima pagina

Sinora sulle tv e sui giornali si era vista una guerra quasi asettica

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Intraviste alle tv Abc , Cbs e Cnn , esposte in tutto il loro orrore sui siti Internet, pubblicate in prima pagina da alcuni giornali tra cui il New York Times , le immagini dello scempio dei resti carbonizzati e mutilati dei quattro connazionali a Falluja hanno traumatizzato gli americani. Divisi sul loro uso, leader politici, esperti e media si chiedono se si stamperanno nella psiche pubblica e porteranno al graduale disimpegno dall'Iraq, come accadde alle immagini della bambina bruciata dal Napalm in Vietnam, e del corpo del ranger trascinato a terra a Mogadiscio nel '93. Sinora, alle tv e sui giornali, l'America aveva visto una guerra asettica, diversa da quella atroce delle tv e dei giornali europei e soprattutto arabi, una guerra contro gli attentati, senza «body bags», sacchi di cadaveri, senza sepolture di caduti, 600 a tutt'oggi. Ma ieri, le orribili fotografie delle vittime impiccate sul ponte dell'Eufrate - l'apertura del New York Times - degli iracheni giubilanti che prendono a calci i resti inerti nell'auto incendiata le hanno mostrato una realtà assai diversa.

L'amministrazione ha reagito allo scempio impegnandosi ad assicurarne i colpevoli alla giustizia e a portare a termine la missione in Iraq, e chiedendo l'appoggio della comunità mondiale. «Il presidente Bush - ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca Scott McClellan - ha visto le immagini. Non ci lasceremo intimidire». «Non ci butteranno fuori dall'Iraq», ha aggiunto il segretario di stato Colin Powell. «L'America ha la volontà e i mezzi per combattere e per sconfiggere il nemico». Per la prima volta, Powell ha pubblicamente sottolineato di contare su una nuova risoluzione dell'Onu entro il 30 giugno, la data del trasferimento dei poteri agli iracheni. Si è schierato per Bush anche il candidato democratico alla Presidenza John Kerry: «Oltre che nel cordoglio, siamo uniti nella determinazione di non lasciare vincere quanti ci odiano».

Tra gli esperti e nei media, la reazione non è stata così unanime. Tom Rosentiel, il direttore del Progetto per la qualità del giornalismo, ha osservato che «l'immagine pulita della guerra dell'Iraq è stata sconfessata e ciò potrebbe nuocere all'amministrazione». Gordon Adams, un ex consigliere del presidente Clinton, ha notato che «le foto sono come un megafono, amplificano l'orrore del conflitto», ricordando che la tragedia di «Black Hawk Down» in Somalia condusse al ritiro dell'America, e la persuase a non intervenire contro il genocidio in Ruanda un anno dopo. L'analista Anthony Cordesman ha previsto che «la guerra delle immagini si intensificherà», mentre lo storico Robert Dellek vi ha scorto «echi del Vietnam». Ma dalle email alla tv Cnn e da una inchiesta lampo del New York Times gli americani non sono disposti ad arrendersi a Bagdad. Pochi suggeriscono il ritiro, molti pensano che l'Iraq possa essere ancora stabilizzato e pacificato.

Per le tv e i giornali, la decisione se pubblicare o no le raccapriccianti immagini di Falluja - e quali - è stata la più difficile dall'11 settembre 2001 quando censurarono quelle devastanti degli sventurati che si sfracellavano al suolo gettandosi dalle Torri gemelle di Manhattan. Le tv, che hanno smentito di avere subito pressioni dalla Casa Bianca o dal Pentagono, sono apparse caute: la Cbs ha mascherato alcune fotografie, la Cnn ha concesso loro pochi secondi. Bill Keller, il direttore del New York Times , ha giustificato la sua scelta, una delle più criticate: «Non si può ignorare la notizia, in questo caso lo scempio delle vittime e il giubilo della folla. Ma bisogna anche pensare al dolore dei familiari e la ripugnanza dei lettori». Tra le grandi testate, solo il Wall Street Journal ha dedicato l'editoriale a Falluja: «Sinora in Iraq non è stato punito nessun terrorista o combattente nemico» ha ammonito. «E' stato un errore. Un anno senza giustizia e senza deterrente ha indotto alcuni iracheni a temere di più le conseguenze della collaborazione con gli americani che le conseguenze della loro uccisione».

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