Da La Repubblica del 02/04/2004

La carriera

Cuffaro, tra Madonne e clientele così nasce una macchina da potere

Dai 356 voti del debutto a Raffadali a governatore della Sicilia. Ma ora arriva l´accusa di mafia

Ha amministrato con la sinistra, adesso guida il centrodestra. E il suo maestro fu Mannino

di Attilio Bolzoni

PALERMO - Difese il suo buon nome e l´onore del suo partito anche quella volta. Era là in fondo nella penombra di uno di quei bellissimi teatri liberty di Palermo, platea eccitata, furori antimafia sotto i riflettori di una trasmissione televisiva che stava processando la Democrazia cristiana. Lui si alzò all´improvviso, rumorosamente. Cominciò a gridare. Voleva proteggere il suo amico Lillo, il suo "maestro", il ministro Calogero Mannino. Si agitava come uno scalmanato, gli amici che aveva intorno tentarono inutilmente di ammansirlo. Poi la voce di Michele Santoro fece esplodere tutti in una grande risata: «E dica quello che deve dire Puffaro e poi però lasci parlare anche gli altri». Dieci e passa anni fa quel ragazzotto paonazzo in volto, grasso, molle, tanto, disse quel che doveva dire e poi diventò uno dei padrini della politica siciliana. Era un predestinato. Ci confidò appena lo nominarono governatore: «In molti hanno sempre pensato che ho avuto fegato e palle in quel teatro, che ho avuto il coraggio di oppormi a quelli che ci sparavano addosso da tutte le parti».

Fegato e palle. Oggi come dieci e passa anni fa, oggi davanti alla Commissione parlamentare antimafia a difendere se stesso da un´accusa di "concorso esterno" e soccorrere quell´Udc siciliana scompigliata da arresti eccellenti. Onorevoli ladroni e onorevoli spioni, talpe dal doppio e triplo gioco, malacarne travestiti da manager, grandi imprenditori che riciclano fortune corleonesi, un impasto, una rete dove è rimasto imprigionato Totò Cuffaro. E ancora una volta lui ha risposto attaccando. Così: «Vogliono friggermi a fuoco lento? Finirà l´olio e io resterò presidente fino al 2006». Trenta pagine per dimostrare all´Antimafia cosa ha fatto il suo governo contro il crimine organizzato, trenta pagine e poi la sua vicenda che scorre. Dall´inizio alla fine nel segno del potere. Con il presidente della commissione Roberto Centaro che, sbarcato a Palermo, perentorio dichiara: «Certamente Cuffaro non è un politico che va a braccetto con i boss».

Solo quelli che non lo conoscono bene possono farsi trarre in inganno dal suo aspetto "paesano" e da quei bifolchi che lo chiamano "cumpà", compare. Quelli che ogni mattina lo aspettano sotto le palme di Villa Sperlinga per chiedere a Totò un piacere o un posto o magari solo un bacio. Solo quelli che non l´hanno visto crescere possono credere che sia lì quasi per caso, primo governatore della Sicilia eletto con più di un milione e mezzo di voti. Ma quale cumpà e cumpà, il folclore intorno al suo soprannome ("Vasa vasa", bacia bacia), gli aneddoti sulle pizzette che divora di primo mattino e sui battesimi dove fa da padrino a bimbi che non ha mai incontrato e che non incontrerà mai più. Salvatore Totò Cuffaro è uno "strutturato", uno allevato per comandare. Un giorno, ce l´ha pure confessato: «Quando sono diventato deputato io, nel 1991, la Dc era alla sua apoteosi: in Sicilia era sopra il 44 per cento. Cinque anni dopo, nel 1996, quando sono stato rieletto la Dc non esisteva più». Ma lui era sempre lì. Una volta nel governo di centrosinistra, l´altra in quello di centrodestra. Sempre più forte. Fino a quando i suoi amici politici più fidato, uno dopo l´altro sono stati sospinti o inghiottiti nei gironi infernali della mafia e dell´antimafia.

Non se lo immaginava Totò, cosa sarebbe accaduto in questa Sicilia così diversa eppure così uguale a se stessa. Non se lo poteva immaginare quando cominciò a far politica. Aveva diciotto anni nel ?78. Si presentò consigliere comunale nel suo paese - Raffadali - e prese 356 voti. Otto democristiani eletti, 22 i consiglieri del Pci. Raccontò una volta: «Fu importante per me anche fare opposizione». Non ne fece più nel resto della sua vita.

Padre maestro e madre maestra, educazione religiosissima, scuola dai salesiani, i primi passi nella Dc all´ombra del sottosegretario Luigi Giglia che era amico di papà. L´Azione Cattolica e poi segretario dei giovani democristiani di Agrigento, l´esperienza nella corrente del ministro messinese Nino Gullotti, la laurea in medicina, il matrimonio con Giacoma. Sono i primi Anni 80 e la Sicilia è un campo di battaglia, i mafiosi sferrano l´offensiva contro lo Stato. E´ già stato ucciso il segretario della Dc di Palermo Michele Reina e anche il presidente della Regione Piersanti Mattarella, congresso democristiano ad Agrigento e Vito Ciancimino lo fanno fuori. E´ il "rinnovamento" siciliano con Orlando, Mannino e Nicolosi che prendono in mano il partito nell´isola. Totò si abbevera alla saggezza e alla scaltrezza di Lillo. Comincia a conquistare un feudo che resterà per sempre suo nei vent´anni a venire: la Sanità. E poi si fa l´archivio. Più di 20 mila nomi schedati per ogni elezione, sempre aggiornati. E le agende. Quella dei paesani residenti a Palermo, millecinquecento. Quella di tutti gli agrigentini che hanno preso casa nella capitale siciliana: alla lettera "C" sono già 65 mila. Una macchina da guerra clientelare. Il 16 giugno del 1991 entra nelle sontuose sale di Palazzo dei Normanni.

E comincia la sua scalata. Si fa largo, dopo la Sanità "occupa" anche l´assessorato all´Agricoltura, sta per diventare un vero boss della politica dell´isola. Dopo la morte della Dc entra nei Popolari, poi nel Cdu di Buttiglione, vicesegretario dell´Udr con Cossiga, torna al Cdu e alla fine approda all´Udc. E nel giugno del 2001 i siciliani lo incoronano "governatore". Difficili i rapporti con quelli di Forza Italia, così poco simili allo "strutturato" Totò. Troppo forte lui e il suo partito per andare d´accordo con Gianfranco Micciché e quella sua variopinta truppa di cortigiani. Diffidenze, scontri, paure. E poi voci, voci su una "manina" di Forza Italia anche dietro la tempesta giudiziaria che ha investito negli ultimi mesi il partito di Cuffaro. Vero? Falso?

Chissà quali sono in queste ore i pensieri più intimi del governatore su ciò che sta accadendo. Chissà se, seduto nello studio della sua casa e circondato da tutti quei crocifissi e Madonne incorniciate e bambin gesù, gli tornerà mai in mente quella frase che gli ripeteva sempre il ministro Gullotti: «Caro Totò, la politica è già difficile farla con i sentimenti, figurarsi con i risentimenti».

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