Da Corriere della Sera del 30/03/2004

Parole e orari del Cavaliere

La crociata contro i «faniguttùn»

di Gian Antonio Stella

Vuol fare un ponte (a Messina) e l'attaccano, vuol disfare qualche ponte (festivo) e l'attaccano, accumula un po' di ponti (consecutivi) per farsi sei settimane in panciolle in Sardegna e l'attaccano come fosse Tiberio a Capri: dura governare, per Silvio Berlusconi. Aveva giurato a se stesso di far come zia Marina che «siccome nessuno le dice che è bella un giorno si è messa davanti allo specchio con un vestito a fiori e si diceva: Mariiina, cume te se bela!».

E invece anche ieri ha dovuto arginare un diluvio di critiche che, andando dalla destra sociale ai vescovi ai comunisti, gli si presenta largo e schiumante come le cascate di Iguazù. Giù le mani dai ponti, ammoniscono gli uomini di Chiesa ricordando che occorre «tener conto delle sensibilità religiose» e temendo per decine di feste patronali dedicate a San Rocco, Sant'Agata o Sant'Ambrogio. Giù le mani dai ponti, tuonano a sinistra dove già sentivano odore di bruciato intorno a certe date simbolo come il 25 aprile o il 1° maggio. Giù le mani dai ponti, intimano perfino nei dintorni di An dove alla freddezza di Fini si accompagnano parole di fuoco del sindacato Ugl per bocca del viceseg retario generale Renata Polverini: «Il potere di acquisto di salari e pensioni è sceso negli ultimi due anni, secondo l'Eurispes, del 20%. Tagliare qualche festività o addirittura ridurre i giorni di ferie non servirà certo alle famiglie e ai lavoratori italiani per avere un reddito più alto». Sintesi: se il premier aveva in mente la strategia cesarista del divide et impera , ha compiuto un capolavoro. Sarà perché questi anni hanno insegnato che i tagli si vedono subito e le promesse dopodomani. Sarà perché anche gli albergatori hanno spiegato conti alla mano che in un Paese che già consuma poco non è poi così astuto segare il turismo. Sarà perché a Parigi lavorano 157 ore l’anno meno che a Milano e in Finlandia fanno nove giorni di riposo in più senza che Francia e Finlandia siano finite nell’abisso. O sarà perché in Giappone hanno il problema esattamente opposto e per spingere la gente a spendere han d eciso anni fa di creare qualche ponte supplementare stabilendo che 4 delle 14 feste nazionali (noi ne abbiamo 10) cadano sempre di lunedì, fatto è che l’idea berlusconiana non pare avere raccolto tanti consensi. Anzi. Siamo un popolo di faniguttùn , per usare quella parola milanese così amata dal presidente per descrivere quanti non avendo «mai lavorato in un’azienda», considera più o meno come dei fannulloni? Forse il tema è un po’ più complesso. Ed è un peccato aver perso un uomo come Lucio Colletti che, con tutta l’amicizia che sentiva per il Cavaliere, avrebbe potuto punzecchiarlo (lui che andò perfino a morire in un calidarium alle Terme di Venturina da spiritoso teorico del lavoro da combinare al riposo) sul come esistano delle vie di mezzo tra l’ozio sibaritico e il produttivismo spiritato e stravolto di certe aree che, nello sforzo sovrumano di fare concorrenza ai cinesi sul piano delle ore di lavoro e delle notti sui macchinari e delle domeniche in fabbrica si sono spompate perdendo via via tutti i treni della ricerca, dell’eccellenza, dell’alta tecnologia... Finché uno come Federico Faggin, il vicentino inventore del microchip e del touch-pad , è sbottato a dirci in faccia: «Non hanno coraggio, non credono nella cultura, vogliono tutto subito, non mettono i soldi per scommettere sul dopodomani come gli americani o i cinesi di Taiwan. Per carità: scelte. Ci sarà sempre bisogno di pasta, maglioni e sellini. Ma io resto in California». Certo, uno come Sua Emittenza che lasciò il mattone con cui aveva fatto i soldi per buttarsi in un settore nuovo com’era quello della tivù privata, non ha un’idea così limitata e vecchia del lavoro. Ma è anche vero che non perde occasione, da anni, per indulgere nella retorica del « laura’, laura’, laur a’ », come se mai nessuno al mondo abbia lavorato quanto ha lavorato lui. Lo ha detto il giorno del Tax-day: «Bisogna passare da 100 tasse a 8: l’è un laura’ de la Madona ». Lo ha ridetto a un convegno di Confindustria: «Per sistemare l’Italia ci vuole un laura’ de la Madona ». Lo ha ribadito mille volte: «Far le riforme l’è un laura’ de la Madona ». E via così. Va a una conferenza stampa: «Ho lavorato fino alle tre di notte». Dà un’intervista: «Per rispondere alle sue domande sono stato su fino alle tre e mezza». Si presenta a un vertice: «Per rifinire i dettagli ho spento la luce alle quattro». E poi racconta che ha deciso di fondare Forza Italia spiegando a mamma Rosa: «Mamma, lo devo fare! Per la nostra Italia! I comunisti sono rimasti gli stessi. Disferanno l'Italia! Gli imprenditori veri se ne andranno. Non ci sarà più libertà, non si potrà più lavorare!». E bolla Confindustria che diffida di lui come «un covo di lazzaroni: c’è un’aria rarefatta, non di trincea, di lavoro». E promette: «Quando vinceremo le elezioni, noi spariremo del tutto, perché saremo troppo impegnati a lavorare». E il gio rno che un ragazzo all’uscita dal ristorante gli grida «anche mio papà ha lavorato tutta la vita ma non può andare al Savini» gli risponde brusco: «Si vede che il tuo papà ha lavorato meno di quel che ho lavorato io». E non c’è volta che non ricordi, ridicolizzando tutti i fannulloni della politica di tutti i tempi, di avere incontrato 987 capi di Stato e partecipato a 718 vertici e di aver fatto 312 telefonate in un’ora e prodotto 4.627 nuove leggi in una settimana e insomma non può mica perdere tempo in tribunale con tutto quel che ha da fare. E si compiace se il suo medico Umberto Scapagnini (che ha piazzato a fare il sindaco di Catania) giura che «gli basta dormire tre o quattro ore a notte» e gongola se Pietro Luna rdi lo liscia (ricavandone da Mattia Feltri il nomignolo di «ministro del trasporto») dicendo che «corre come Schumacher». Ma perché non gli riconoscono tutti quanto sgobba, sgobba e sgobba? Meno male che ogni tanto si delizia a leggere le cronache del Giornale di famiglia: «Segretarie e collaboratori si alternano, con diversi turni, mentre il Cavaliere sembra l’omino delle pile Duracell: chi scrive riesce a stento a girare lo zucchero nella tazzina del caffè nello stesso tempo in cui il presidente fa almeno tre cose...». Averne! Averne!

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