Da La Repubblica del 30/03/2004

Quei terroristi senza progetto

di Giorgio Bocca

Tornano i bombaroli genovesi: questa volta non contro la questura, ma più modestamente contro il commissariato di Sturla. Una bomba alle 3 e 11 con schegge metalliche e fumogeni la seconda mezz´ora dopo, stessi modi stessi tempi che nell´attentato del 9 dicembre 2002, nessuna vittima né allora né ora. Il capo della polizia De Gennaro definisce l´attentato «vile ma anche feroce». Compiuto per spaventare ma anche per uccidere.

I fumogeni sarebbero stati usati come richiami «civetta» per far uscire gli agenti dal commissariato e colpirli mortalmente con la seconda esplosione. Una tesi che sembra a misura del dilettantismo dei misteriosi, ma non troppo, dinamitardi che nelle due occasioni hanno fatto più rumore che danni ma che avrebbero anche potuto fare strage. I magistrati incaricati dell´indagine hanno dichiarato che «qualsiasi ipotesi è prematura». Dichiarazione banale ma realistica. Tutto è possibile nel terrorismo endemico che caratterizza questo tempo di ansie e di misteri, di fanatici e di mitomani. Gli indizi che sembrano collegare questi attentati agli scontri del G8, fra contestatori più o meno globali e poliziotti sono numerosi quanto labili: nella caserma di Sturla opera uno dei commissari indagati per le violenze della polizia, un comunicato recentemente arrivato alla caserma avrebbe minacciato vendetta per l´uccisione di Carlo Giuliani, firmato dalla Brigata 20 luglio anarco-insurrezionalista, documento giudicato dal questore «credibile, e preoccupante» perché «contenente minacce al carabiniere Mario Placanica che sparò a Carlo Giuliani e ai poliziotti del reparto mobile di Bolzaneto autori di pestaggi e di torture». Già nel comunicato dopo l´attentato del 2002 la Brigata 20 luglio affermava di aver colpito «come prima risposta al covo degli esecutori materiali dell´assassinio di Carlo Giuliani e alle violenze sistematiche perpetrate nelle caserme e commissariati di Genova nel vano tentativo di reprimere la risposta popolare al vertice del G8». Le sigle del terrore con riferimento a una data simbolica sembrano inventate ma negli anni di piombo si capì che rispondevano sempre a un gruppo reale, assurdo, incomprensibile ma reale. Questi misteriosi anarco-insurrezionalisti si sarebbero manifestati anche in altre città, a Roma con l´attentato al Viminale con la bomba legata a un motorino che esplose alle 4 del mattino del 26 febbraio 2002 senza causare vittime e l´altra precedente a Bologna del luglio 2001, sempre a vuoto come se si accontentassero di fare dei fragorosi botti nelle notti italiane. Le bombe di Sturla avrebbero altri significati, sarebbero una intimidazione alla giustizia che sta processando i manifestanti più violenti del G8 o una protesta per gli arresti recenti di autonomi, cinque giorni fa a Milano. In questa confusione di moventi e di sigle più o meno terroristiche i cauti magistrati di Genova dicono: «Si tratta di un´area molto magmatica di cui non è possibile definire bene identità e strategie».

I residui di un terrorismo italiano sono veramente di difficile definizione, inafferrabili per la loro stessa esiguità: cosa erano gli ultimi brigatisti rossi assassini dei professori giuslavoristi? Quattro gatti privi di esperienza, di un progetto politico, di coraggio che si mettevano in dieci a indagare per mesi su delle persone inermi senza scorta, che andavano a piedi o in bicicletta. Senza alcun legame con la organizzazione che fece tremare la Repubblica, senza una dottrina minimamente accettabile, minimamente applicabile a una società come l´italiana, già per suo conto in preda a trasformazioni incontrollabili, già sull´orlo di crisi profonde. E allora che vogliono, in cosa sperano, che progetti hanno questi bombaroli che gettano le loro innocue bombe nel mucchio devastante del grande terrorismo universale che fa saltare treni e alberghi e palazzi e stazioni della metropolitana e Torri Gemelle con migliaia di morti? Forse qualcosa di ammalato nell´animo, qualcosa che non funziona nella testa dei giovani o nella società antiche pulsioni di violenza o di imitazione, il «ci siamo anche noi» con le bombe come altri ci sono con le pietre lanciate sulle automobili dai viadotti, e quelli che uccidono e si uccidono nelle giornaliere tragedie urbane. Una nuova strategia del terrore per ora alla buona con più rumore che danni? Caviamocela come i magistrati di Genova: ogni ipotesi alla stato delle indagini è prematura, la diffusione della violenza e dei violenti è magmatica. Il terrore come una peste che arriva non si sa da dove né per quanto.

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