Da Corriere della Sera del 29/03/2004

L’analisi

L’esecutivo al capolinea e la «gauche» risorta

di Massimo Nava

PARIGI - Sembrava orfana e nostalgica la sinistra francese che, da ieri sera, canta vittoria come ai tempi di Mitterrand. Unita, sulle ali dell'entusiasmo popolare e dei brindisi nelle sedi dei partiti, il socialista, il verde e persino il comunista, dato per condannato all’estinzione anche nelle roccheforti operaie. Orgogliosa, dopo il purgatorio del 21 aprile 2002, quando venne umiliata dall’eliminazione del suo leader, Lionel Jospin, al primo turno delle presidenziali e costretta a dare il sangue a Chirac per salvare i valori repubblicani dall’onda nera di Le Pen.

Sembrava anche povera di idee e guida, in bilico fra il «gauchismo» massimalista e il riformismo liberista, aggredita dall’estrema sinistra e dalla delusione della Francia popolare e impoverita, che votava Le Pen o si rifugiava nell’astensione.

Molti, per salvare la barca, invocavano il ritorno di Jospin alla politica, studiavano l'Ulivo italiano, costruivano a tavolino la ricetta per contrastare la formidabile macchina del consenso di Jacques Chirac, l'uomo di destra con il cuore a sinistra che, almeno a parole, occupa anche lo spazio del pacifismo, dell'ecologia, del terzomondismo, della solidarietà sociale. Sembrava infine marginalizzata dalla geografia del potere, tutto nelle mani della destra: Eliseo, governo, Assemblea nazionale, Senato e organi istituzionali. Il voto di ieri non cambia per ora i rapporti di forza a livello nazionale, ma la conquista di quasi tutte le regioni inverte completamente tendenza e equilibri.

Per il presidente e per il governo di Jean Pierre Raffarin è una disfatta. I francesi hanno bocciato la politica sociale, l'avvio di riforme dolorose come quella delle pensioni, i tagli della spesa pubblica. Ma i francesi hanno anche sanzionato un potere centrale vissuto come distante, sordo, immobile, anche come immagine, attorno alla trentennale carriera di Jacques Chirac.

Il miracolo della gauche resuscitata ha un nome, François Hollande, il fido delfino di Jospin, ritenuto, anche dai militanti, un funzionario di transizione rispetto ai bei nomi della sinistra francese, da Lang a Kouchner, da Fabius a Strass Kahn, tutti i corsa per l'Eliseo. Ma il segretario socialista, dal congresso di Digione dell'anno scorso, ha messo in pratica, alla lettera, la più semplice delle ricette in un sistema bipartitico e in tempi di crisi economica: niente nemici a sinistra, lotte sociali, attacco frontale al governo, una buona dose di demagogia mediatica, qualche strizzata d'occhio un po' disinvolta al "gauchismo" intellettuale, come la visita in carcere del "nostro" Battisti.

Non potendo cavalcare il pacifismo (dato che tutti i francesi sono contro la guerra in Iraq e abbastanza antiamericani), Hollande, dietro le lenti del professorino, ha sfoderato le parole giuste per galvanizzare le truppe, scaldare i cuori, ridare qualche speranza.

Ha portato lo scontro tutto sul terreno sociale nella difesa dei capisaldi del modello francese: "sicurezza sociale, servizio pubblico, diritto al lavoro", come ha ripetuto ancora ieri sera chiedendo al governo di cambiare strada. Il vento spagnolo, gli scandali e le divisioni del centrodestra, la tradizionale tendenza dei francesi a bocciare sempre e comunque alla prima occasione il governo in carica (capitò anche alla Francia felix di Jospin in tempi di crescita e di generosa apertura delle casse pubbliche) hanno contribuito al miracolo.

Può essere che sia una strategia di corto periodo, come ha commentato ieri sera Alain Juppé, ammettendo la disfatta: "I francesi hanno detto no alle riforme, al progetto di modernizzazione del Paese. C'è il rischio di condannare la Francia all'immobilismo e alla regressione". Ma le riforme, replicano i socialisti, non si possono fare senza giustizia sociale, a danno dei ceti più deboli, distruggendo un sistema di garanzie e un modello di valori consolidati.

E' un messaggio che vale per la Francia, che in quanto a conservazione del proprio modello statalista non teme confronti nel mondo. E' anche un messaggio per l'Europa, quando, fra due mesi, non solo i francesi dovranno dire che cosa conservare rispetto alle sfide della competitività internazionale e dei deficit pubblici.

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