Da La Repubblica del 27/03/2004

Il Cavaliere solo

di Andrea Bonanni

Lo spagnolo Aznar saluta e se ne va, cacciato dagli elettori. Il polacco Miller torna precipitosamente a Varsavia per fronteggiare una crisi politica innescata dalla scissione dei filoeuropei nel suo partito. L´inglese Blair sorride, come sempre, e si prepara a ospitare a Londra un minivertice con i suoi nuovi "amici" francotedeschi. Schroeder, Chirac e Prodi gongolano nel constatare l´evanescenza della "nuova Europa" anti-europea, tenuta minacciosamente a battesimo dal Pentagono solo un anno fa.

Tutti lodano «la professionalità» della presidenza irlandese che è riuscita a riaprire i giochi per la Costituzione. E Silvio Berlusconi resta solo a teorizzare l´isolamento politico dell´Italia, esclusa dai grandi «perché le nostre posizioni vanno in una direzione diversa da ciò che loro auspicano, perché non siamo in sintonia e non abbiamo complessi di inferiorità come succedeva con i governi di prima».

Dopo la strage di Atocha e dopo le elezioni spagnole tira un vento nuovo sull´Europa. Sarà forse solo un effetto psicologico effimero, ma anche le emozioni, in politica, contano, e raramente l´Unione ha visto un vertice così consensuale. Dalla cooperazione antiterrorismo alla condanna per le esecuzioni extra-giudiziali di Israele, dalla rinnovata voglia di Costituzione alla richiesta di un ruolo forte delle Nazioni Unite in Iraq, i Venticinque sono apparsi per una volta uniti di fronte alla sfida del terrorismo. Solo Berlusconi è rimasto a soffiare controvento, ignorato da tutti e costretto, alla fine, ad accodarsi agli altri.

Sulla cooperazione antiterrorismo ha dovuto dare assicurazioni di una rapida trasposizione in legge del mandato di arresto europeo, a lungo osteggiato dal suo ministro Castelli. Sull´Iraq ha dovuto sottoscrivere un documento che sollecita quel maggior coinvolgimento delle Nazioni Unite che il suo governo aveva ritenuto non necessario quando si è trattato di inviare i soldati a Nassiriya. Sul Medio Oriente è stato costretto ad avallare un testo duramente critico verso la politica del suo amico Sharon, in cui si chiede ad Israele di restituire libertà di movimento ai palestinesi, ribaltare la politica degli insediamenti e revocare la costruzione del muro: un brusco riequilibrio della posizione europea dopo la sbandata della presidenza italiana.

Ma è stato indubbiamente sul fronte della Costituzione che Berlusconi si è trovato maggiormente in difficoltà. Dopo aver sostenuto, al vertice di dicembre, che il fallimento non era dovuto a Spagna e Polonia bensì all´impuntatura di Francia e Germania, il presidente del Consiglio ha dovuto constatare che l´uscita di scena del suo amico Aznar e l´inversione di rotta dei polacchi hanno sbloccato la situazione. E, dopo aver espresso il proprio pessimismo sulla possibilità di chiudere il negoziato sotto presidenza irlandese, ha sottoscritto un documento secondo cui «l´accordo deve essere raggiunto entro il Consiglio europeo di giugno».

Da un punto di vista oggettivo, le perplessità di Berlusconi sono ragionevoli visto che la strada per un´intesa è ancora lunga e accidentata.

Formalmente ineccepibili sono anche le riserve espresse dal ministro degli Esteri italiano, che dice di considerare inaccettabile un compromesso al ribasso. «Meglio nessuna Costituzione che una cattiva Costituzione», minaccia Frattini. Peccato che, nella nuova ventata di entusiasmo che sembra pervadere l´Europa, l´improvvisa freddezza italiana ricordi un po´ troppo la favola della volpe e dell´uva acerba. Quanto ai compromessi al ribasso, risulta che nel corso dei «confessionali» del vertice di dicembre la presidenza italiana ne abbia proposti non pochi, seppure con scarso successo. L´opinione pubblica non ne è al corrente. Ma gli interessati sì: e sarà difficile adesso, di fronte ad una ipotesi di accordo, definire inaccettabili soluzioni caldeggiate solo tre mesi fa. Insomma ancora una volta rischiamo di metterci in una posizione difficilmente sostenibile, preludio di una ennesima, indecorosa marcia indietro. Meglio sarebbe stato, per un governo che continua a proclamarsi europeista ignorando il proprio stesso agire, accodarsi alle dichiarazioni di buona volontà e lasciare ad altri il ruolo di guastatore.

Ma queste sono, purtroppo, preoccupazioni accademiche. Nonostante l´assicurazione di Berlusconi che «siamo uno dei quattro grandi Paesi che decidono in Europa», il ruolo dell´Italia nell´Unione appare definitivamente e irrimediabilmente compromesso, almeno fino a quando a rappresentarla ci sarà questo governo. I paesi veramente grandi, e davvero senza complessi di inferiorità, non hanno bisogno di proclamarsi tali.

Quello che conta, e che si spera non vada perduto, è il nuovo fragile slancio registrato ieri a Bruxelles. Dopo il 2003, «annus horribilis» dell´Europa, il risanamento della ferita irachena è in corso. La guarigione completa dipenderà da molti fattori, interni ed esterni, non ultimi il risultato delle presidenziali americane di novembre e l´esito del braccio di ferro tra multilateralisti e neoconservatori già in corso in seno all´amministrazione Bush. Ma, per fortuna, non dipenderà più dal comportamento della presidenza italiana affidata al governo Berlusconi. Anche solo per questo sono in molti, in Europa, a tirare un sospiro di sollievo.

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