Da La Repubblica del 18/03/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/c/sezioni/esteri/mitrovica/testkos/testk...

L'attacco ai serbi è scattato improvvisamente in tutto il Kosovo. Il comandante delle truppe italiane: "Serviva solo un pretesto"

"Era tutto programmato. Questa è pulizia etnica"

"Gli albanesi vanno di casa in casa per uccidere". Anche il personale Onu è in pericolo. Pronta l'evacuazione

di Monica Ellena

Tanja e Milomir Tosic da Grabac non se ne vanno, non ci stanno a cedere di nuovo alla follia della guerra. "Siamo scappati dalla Croazia dodici anni fa, siamo scappati dal Kosovo cinque anni fa. Non scapperemo un'altra volta. Quando siamo tornati nel 2002 siamo tornati per restare". Nel minuscolo villaggio alle porte di Klina, nel Kosovo occidentale, i quaranta serbi hanno detto no all'evacuazione della Kfor. Non importa se tutto intorno sta saltando in aria: loro sono rimasti lì, con i soldati italiani a controllare ogni centimetro intorno alle case che sanno ancora di intonaco fresco. Nel vicino villaggio di Bica, poco meno di cento anime, se ne sono andati tutti con gli uomini della Folgore. Ma tutto è imprevedibile, se attaccati, dovranno accettare una nuova fuga.

Nella regione più etnicamente pulita - poche centinaia di serbi da cinque anni sigillati in un pugno di enclavi e monasteri - i manifestanti albanesi hanno invaso tutte le città principali, tirato granate contro il prezioso monastero ortodosso di Visoki Decani, attaccato polizia e Kfor, bruciato le macchine bianche dell'Onu.

Rosario Castellano, comandante della Folgore alla guida delle truppe italiane nella regione di Pec, salta da una chiamata radio all'altra. Lì i manifestanti hanno invaso tutte le principali città, colpendo i pochi serbi rimasti. Nel villaggio di Belo Polje, a ridosso di Villaggio Italia, la principale base italiana nella regione, tutte le case sono state bruciate, gli abitanti evacuati. "Era tutto programmato - spiega Castellano - la risposta è stata troppo immediata, troppo forte. La morte di quei ragazzini è stato un pretesto, avrebbe potuto essere un qualunque evento, hanno usato quello per innescare tutto questo".

"Io non capisco. Dalla fine della guerra abbiamo avuto esplosioni, bombe, rivolte, scontri, ma questa volta è diverso. Questa volta ogni città, ogni singolo villaggio è esploso ed è esploso contro qualunque cosa serba: persone, case, macchine con targhe serbe, chiese".

Derek Chapell, portavoce della polizia internazionale, è in Kosovo dal 2000. "Ne ho viste tante, ma questa volta siamo stati colti di sorpresa, è come se ieri tutto fosse scoppiato nello stesso istante, quando arrivavamo in un posto la rivolta era già incontenibile, incontrollabile. O è stato un incredibile atto di rabbia simultaneo o qualcuno aveva pianificato tutto. Non so qual è la risposta, ma tutto questo ha davvero dell'incredibile".

La polizia può contare su 9710 uomini, di cui 3458 internazionali, il resto locali - serbi e albanesi - del Kosovo Police Service. Tanti, ma non abbastanza.

John Ashok lavora nella municipalità di Klina. Ieri sera, guidare la sua macchina bianca Onu fino a Pec, dove vive, era impossibile. "Il presidente del consiglio municipale ha preso tutti gli internazionali, ci ha messi nella sua macchina privata e ha portato a casa, uno ad uno. Senza di lui non avremmo potuto tornare a casa. Ora siamo bloccati, aspettiamo notizie, le valigie sono preparate nel caso dovessimo essere evacuati all'improvviso".

Ad ora la situazione è questa: gli albanesi protestano e attaccano, i serbi non reagiscono e scappano, le forze internazionali - polizia e Kfor - fronteggiano e chiedono rinforzi. Che stanno arrivando: le forze Nato di stanza in Bosnia si stanno preparando ad andare in aiuto dei circa 20 mila soldati nella regione in fiamme.

"Questa è pura pulizia etnica - dice un ragazzo inglese nella regione da quattro anni - stanno andando casa per casa, per uccidere. Ieri notte gruppi di albanesi hanno attaccato il complesso in cui vivono la maggior parte dei serbi rimasti a Pristina, il cosiddetto edificio YU. Sono entrati negli appartamenti, hanno picchiato a morte, pugnalato e ucciso. È stato tutto pianificato...".

L'edificio YU, considerato ormai sicuro, non era più controllato 24 ore su 24 da alcuni mesi. Per loro è stato facile entrare.

Nella tranquilla Gjilan, dove circa 180 serbi vivevano più o meno integrati nella città (nell'estate del 1999 erano 5 mila), è il caos. "Ieri pomeriggio da soli, poi in serata con l'aiuto della Kfor abbiamo evacuato tutti i serbi in città, eccetto due anziani che sono voluti restare" spiega Ignazio Matteini dell'Unhcr. Case in fiamme, vicini albanesi allegramente saccheggianti, bambini, adulti, anziani terrorizzati. Alcuni albanesi hanno preso le difese dei serbi attaccati, altri non hanno potuto, altri ancora hanno infierito. "Nella notte abbiamo aiutato alcune famiglie a prendere alcune cose dalle loro case prima di metterli al sicuro".

Cinque anni fa la Nato intervenne a fermare la pulizia etnica di Milosevic contro gli albanesi. Il risultato fino a pochi giorni fa era un Kosovo etnicamente pulito, al contrario, con poche migliaia di serbi rimasti, prigionieri di quella che tutti chiamavano pace. A guardare il Kosovo oggi diciotto marzo 2004 sembra che gli estremisti si siano svegliati per terminare il lavoro.

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