Da La Repubblica del 18/03/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/c/sezioni/cronaca/allertastrag/immi/immi...

Pisanu valuta la possibilità di rimpatriare i sospettati di legami con il terrorismo. Domani riunione a Bruxelles per strategia Ue

Sicurezza, 500 immigrati a rischio espulsione

Il titolare dell'Interno non ritiene praticabili le legislazioni "speciali", ma cerca un modo per isolare gli intolleranti

di Giuseppe D'Avanzo

ROMA - Sono da cinquecento a mille, i cittadini stranieri di religione islamica che potrebbero nei prossimi giorni essere accompagnati nei Paesi d'origine perché "sospettati di essere una minaccia per la sicurezza nazionale". Sono gli uomini (cinquecento o mille, a seconda dei parametri che saranno utilizzati) trascinati in pieno o di striscio nelle indagini delle polizie dell'antiterrorismo nazionali e "collegate".

E' l'opzione, scomoda e controversa, che il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu valuta in queste ore per mettere "nelle migliori condizioni di sicurezza possibile" il nostro Paese. E' una decisione tormentata che trova le sue coordinate nell'analisi della fase attuale dello jihadismo; nella verifica degli strumenti processuali e dei metodi investigativi codificati dalle leggi italiane; nella valutazione del grado di pericolo che investe o può investire oggi l'Italia.

Se vuoi proteggerti da un nemico che minaccia di colpirti, anzi che sai con certezza che ti colpirà, hai bisogno di sapere chi è, dove si nasconde, come potrebbe entrare in azione, contro chi o che cosa. Per troppo tempo il nemico ha avuto il volto di Osama Bin Laden e il nome di Al Qaeda. Osama non si sa se è vivo, morto o morente, e dire Al Qaeda non vuol dire nulla.

Al Qaeda non esiste più. E', oggi, un nulla operativo e un pieno ideologico. Il pieno ideologico non lo si può aggredire con le polizie. Il nulla operativo è inafferrabile.

Dal 7 ottobre del 2001, quando i bombardieri Usa cominciarono a volare nei cieli dell'Afghanistan, l'organizzazione di Osama Bin Laden si è liquefatta. Annientata o in fuga la leadership. Spezzati i collegamenti e interrotte le alleanze. Ridotto o macchinoso il finanziamento. Distrutti gli arsenali. Inesistente la struttura di comando.

Un tempo, immediatamente sotto Bin Laden c'era il Consiglio consultivo (Majlis al-Shura). Quattro comitati - militare, giuridico-religioso, finanza e del digiuno - riferivano al majlis. Alcuni membri del comitato militare eseguivano in giro per il mondo i compiti speciali elaborati da Bin Laden e dai suoi comandanti operativi. Sceglievano gli obiettivi possibili, gli uomini più adatti, il metodo d'azione più efficace. Di questa gerarchia e delle sue procedure non è restato nulla con la fine della guerra afgana. Al Qaeda, per come abbiamo imparato a conoscerla dopo l'11 settembre, non c'è più.

E' una convinzione che vede, per una volta, concordi i nostri due rami dell'intelligence che, per il resto, non si associano nemmeno nella traslitterazione di Al Qaeda (Al Qa'ida per i "civili", Al-Qa'idah per le "barbe finte" militari). Annota in un lungo rapporto il Sisde (il servizio d'informazione civile): "L'ipotesi che Al Qa'ida rappresenti l'epicentro decisionale da cui si irradiano i vari attacchi, almeno quelli di maggior impatto, non trova allo stato oggettivi riscontri". Analoga e addirittura più definitiva la notazione che si può leggere in un dossier dell'intelligence militare (Sismi): "Non è detto che queste organizzazioni (responsabili degli ultimi attentati, ndr) abbiano collegamenti logistici e finanziari con Al-Qa'idah. AQ potrebbe essere diventata una semplice ideologia, un modus operandi, un modello di imitazione, di cui alcuni gruppi intendono appropriarsi per raggiungere i loro scopi, facilitati dallo spazio conflittuale che si è creato nel contesto iracheno e afgano".

La fine della "Rete del terrore" di Osama Bin Laden semplifica e complica allo stesso tempo la faccenda. La semplifica perché costringe in ambito più ristretto il pericolo che non viene più da un "lontano" che si ignora. Restringe la minaccia a pochi uomini, con poche risorse, limitati collegamenti, privi di una struttura di comando sconosciuta. L'aggressione è limitata a territori circoscritti. La complica perché non esiste più un "santuario", un "centro operativo" che una volta individuato e colpito, il lavoro potrà dirsi concluso perché con esso si spengono anche i terminali nervosi.

Sostiene un investigatore: "Il terrorismo islamico diventato "regionale" parcellizza le mosse, scompone le sue schiere, ne rende più sfuggente l'attività, i finanziamenti, i collegamenti. Meno prevedibili le aggressioni. Tutto il nostro lavoro d'intelligence e di investigazione preventiva diventa più complicato, assai più complicato. E' il problema che abbiamo sul tavolo".

E' il problema che ha sul tavolo il ministro dell'Interno. Giuseppe Pisanu sa che un attentato al nostro Paese è possibile. Uomo prudente e di grande equilibrio istituzionale e politico, preferisce tenere a bassa intensità l'allarme ragionando soprattutto sulle informazioni che segnalano l'alta probabilità di "un pericolo concreto e imminente". "Allo stato attuale delle cose, e senza sottovalutare nessun indizio o sentore di rischio - dice Pisanu - posso dire che le voci su probabili o imminenti attentati islamici in Italia appaiono prive di fondamento".

E' quel che deve dire un ministro saggio che, con gli stessi grani di saggezza, ha però da mettere a punto una strategia che sappia misurarsi con il "nemico nuovo" senza volto e identità. Con un'ideologia ma senza capi e senza ordini. Con un'uguale determinazione a colpire l'"empio", come nel passato dominato da Al Qaeda, ma con codici variabili e formule improvvisate secondo il momento, le possibilità e le forze. Come afferrarlo? Pisanu ha compreso che le categorie giuridiche occidentali, le nostre regole e procedure possono risultare inadeguate a dimostrare la responsabilità dei potenziali terroristi in un processo degno dello stato di diritto, quindi al di là di ogni dubbio ragionevole.

Alcuni magistrati, come il pubblico ministero di Milano Stefano Dambruoso, avvertono che è molto difficile trasformare l'intelligence in "evidence" e ricordano che "anche Paesi di antica tradizione democratica, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, hanno emanato legislazioni "speciali" (in base al solo sospetto, arresto sine die fino a conclusione delle indagini)". Il ministro dell'Interno non crede che questa sia una strada e una strategia praticabili. Non crede che si possano deformare le regole del processo senza violare, con la libertà dell'individuo, diritti inalienabili. E tuttavia, sbarrata la strada giudiziaria, Pisanu pensa di dover prendere sulle proprie spalle e per intera la responsabilità di "isolare e mettere in condizioni di non nuocere" gli islamici intolleranti, i violenti, i predicatori d'odio, coloro a vario titolo sono sospettati di essere sensibili, attratti o già in contatto con lo jihadismo. E' la strada dell'espulsione amministrativa dei personaggi sospettati di essere una minaccia per la sicurezza nazionale, già utilizzata contro 7 immigrati islamici. E' una strada che si può allargare fino a contenere tutti gli uomini, in qualche modo, coinvolti per il loro passato di combattenti della "guerra santa" in altre parti del mondo, per i loro contatti o frequentazioni nelle indagini dell'antiterrorismo? Pisanu sembra sapere che non tutte quelle inchieste sono genuine o fondate o documentate. Cerca in queste ore di trovare una "griglia" per dare alla selezione dei sospetti la maggior consistenza di "plausibili indizi di pericolosità". Non è l'unico dilemma che deve sciogliere. Il secondo è politico. Il terzo è strategico.

Come reagirà l'opinione pubblica, europea e nazionale, a un'ondata di espulsioni che potrebbe toccare quote mai nemmeno immaginate nell'Occidente democratico? La soluzione potrebbe saltare fuori dal vertice dei ministri dell'Interno di domani a Bruxelles. Se tutti i principali Paesi "a rischio" dell'Unione europea dovessero applicare la stessa strategia dell'espulsione, magari con l'avallo della commissione di Romano Prodi, sarebbe più facile per Pisanu affrontare, in Italia, il dibattito pubblico e parlamentare. Rimane da valutare se "la strategia delle espulsioni", dopo un primo benefico effetto per la sicurezza nazionale, non faccia fiorire nel medio periodo frutti dolorosamente avvelenati ed effetti addirittura opposti. Un più ampio reclutamento, per esempio. Maggior rancore. Più ostilità religiosa. Definitive "scelte di campo". Lo si può dire in un altro modo. Che effetto avrebbero espulsioni di massa su quella che Khaled Fouad Allam ha definito, da queste colonne, "la generazione perdente nei processi di integrazione", i giovani islamici nordafricani, mediorientali, asiatici che vivono nelle nostre periferie urbane, già oggi pericolosamente "strumentalizzabili" dai gruppi del terrore? Quella soluzione che apparentemente farebbe tirare nell'immediato un sospiro di sollievo, spezzerebbe o sovrapporrebbe ancora più minacciosamente "terrorismo nichilista e deficit di integrazione"? E' la domanda che tormenta in queste ore Giuseppe Pisanu. Domani da Bruxelles ne sapremo di più.

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