Da Corriere della Sera del 17/03/2004

«Crescita più lenta, Italia a rischio deficit»

Bankitalia: quest’anno lo sviluppo si fermerà all’1%. Conti pubblici, tagliare tasse e spese

di Stefania Tamburello

ROMA - La ripresa economica in Europa e in Italia non solo è debole ma è anche incerta. Non c’è infatti alcun segnale che indichi l’avvio dello sviluppo sulla scia di quello degli Usa e dell’Asia, Giappone compreso. La difficile congiuntura accomuna tutti i paesi Ue ma l’Italia rischia di avere i maggiori affanni. Le prospettive non sono per nulla rosee. Se infatti per il 2004 potrebbe rivelarsi ottimistico il tasso di crescita dell’1,7% previsto per l’intera area dell’euro (si pensa a un ribasso all’1,5%), per l’Italia la stima più aggiornata non supera l’1%. E cioè quasi la metà di quell’1,9% previsto dal governo solo nel settembre scorso. E questo senza contare le possibili ripercussioni della strage di Madrid. A disegnare il quadro poco esaltante dell’attuale fase economica è la Banca d’Italia col bollettino di primavera. Il problema dell’Italia, dicono gli economisti dell’ufficio studi di via Nazionale, è la caduta di competitività del sistema in atto da tre anni. Lo testimoniano la costante perdita di quote di mercato del made in Italy e la contrazione della produzione industriale, vista in calo anche nel mese di febbraio, che condizionerà il «modesto» tasso di crescita stimato per il primo trimestre (circa 0,2 -0,3%). Un dato per tutti: la produzione italiana negli ultimi tre anni si è ridotta del 3% contro la stazionarietà di quelle francese e tedesca. I motivi di questo declino sono da ricercarsi, si legge nel Bollettino, nel nanismo delle imprese italiane e nella mancata innovazione tecnologica dei processi produttivi e dei prodotti. Il monito che viene da Palazzo Koch ricalca quello lanciato dal governatore Antonio Fazio nel corso degli ultimi interventi: «Affinché l’economia italiana possa stabilmente conseguire tassi di crescita più elevati occorre una politica economica che, attraverso riforme strutturali, persegua l'abbattimento del carico fiscale e la graduale riduzione del disavanzo pubblico; il rilancio degli investimenti produttivi nei settori tecnologicamente avanzati e l'espansione dimensionale delle imprese sono necessari per innalzare la produttività e la competitività del sistema, per porre le basi di maggiore occupazione».

La severità dell’analisi di via Nazionale si indirizza dunque sui conti pubblici il cui disavanzo «continua ad essere ridotto con misure transitorie». Con ogni probabilità, lascia intendere il bollettino, il governo non potrà centrare l’obiettivo dell’indebitamento del 2,2% nel 2004. Considerando infatti la stima di minor aumento del Pil (Prodotto interno lordo) pari all’1% l’indebitamento dovrebbe salire al 2,6%. Ma non basta. La salita ,come indica anche la Bce, potrebbe essere più alta. «Vi sono anche altri fattori di rischio» da considerare, dice la Banca d’Italia, e cioè «i principali provvedimenti di aumento delle entrate che richiedono l’adesione volontaria delle controparti» come nel caso del concordato preventivo. E «l’azione di contenimento della spesa che potrebbe risultare non pienamente in grado di conseguire gli obiettivi stabiliti».

«Si renderà necessaria una manovra correttiva», ha commentato ieri Enrico Letta della Margherita mentre Vincenzo Visco (Ds) ha sostenuto che «la situazione è molto grave», senza «prospettive di recupero a breve».

Il bollettino esamina anche gli effetti sui mercati dei crac Cirio e Parmalat confermando che sono «stati limitati» sul sistema bancario italiano. Da dicembre tuttavia le banche sono diventate più prudenti nell’erogare finanziamenti soprattutto ai gruppi di maggiori dimensioni. Bisogna dunque, torna ad avvertire la Banca d’Italia «ristabilire un clima di serenità per le banche, chiamate ad assistere il sistema produttivo in una fase delicata della congiuntura». E dalla radiografia di Bankitalia appare in crescita l’indebitamento delle famiglie italiane, a quota 351,8 miliardi. Anche se dopo un lungo declino la quota di risparmio rispetto al prodotto interno lordo è risalita dal 3,5 al 4,7%. Livello ancora lontano da quel 7% del 2001. C’è poi un timore da parte della banca centrale sul fronte dei mutui: oltre tre quarti dei prestiti per l’acquisto della casa (in totale 42,2 miliardi) sono contratti a tasso variabile. Il rischio? «Se i tassi dovessero salire, salirebbe l’onere finanziario a carico delle famiglie».

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