Da Il Sole 24 Ore del 25/02/2004

Bush: no ai matrimoni gay

di Mario Platero

NEW YORK - Dopo mesi di polemiche, di aperte sfide dei tribunali e dei governi locali alla prassi federale che scoraggia il matrimonio tra omosessuali, ieri George W. Bush è sceso in campo per chiedere che sia approvato un emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti al fine di vietare la creazione di famiglie gay e proteggere la «più duratura istituzione dell'umanità». Il presidente ha parlato ieri mattina dalla Casa Bianca, in tono molto sobrio e moderato, e ha rilevato quanto difficile sia la questione. L'argomento, ha detto, costringe tutti a riflettere «sul rispetto dei diritti delle persone e il rispetto del matrimonio». Sappiamo, ha continuato Bush, di rispettare le libertà che contraddistinguono l'impalcatura costituzionale americana. Ma, dovendo allo stesso tempo rispettare l'istituzione del matrimonio nella forma concepita da ogni religione, si deve prendere atto del fatto che «nessuno Stato è oggi in grado di accettare una definizione particolare di cosa si intenda per matrimonio e cioè l'unione tra un uomo e una donna». I casi più recenti di "attivismo" da parte di corti locali che hanno confermato la validità di matrimonio tra gay si sono avuti a Boston e a San Francisco. È per queste ragioni che il presidente ha detto di essere stato costretto a chiedere al Congresso di approvare l'emendamento alla Costituzione per impedire il matrimonio tra gay. Siamo in piena campagna elettorale. E proprio lunedì notte, per la prima volta, George W. Bush ha deciso di attaccare direttamente il suo presunto concorrente, il senatore John Kerry. «Nel campo democratico sono contro i tagli fiscali e a favore dei tagli fiscali, sono per il Patriot Act e contro il Patriot Act, in favore della liberazione dell'Irak e contro. E queste posizioni riguardano solo un senatore del Massachusetts», ha detto Bush accusando di fatto Kerry di non avere la chiarezza, la determinazione e la leadership necessaria per guidare il Paese in guerra contro il terrore. Così la decisione della Casa Bianca sui matrimoni gay ha inevitabilmente preso una connotazione elettorale. La questione riguarda la stragrande maggioranza degli americani, pone un problema di coscienza su tutto lo spettro politico e ha già registrato posizioni favorevoli a mantenere invariato il concetto di matrimonio anche tra i democratici. Sia John Kerry che John Edwards ad esempio sono favorevoli al mantenimento dell'istituzione così come l'abbiamo conosciuta finora. Ma non c'è dubbio che l'introduzione di un emendamento alla Costituzione causerà dirompenti battaglie politiche: «Io chiedo - ha detto Bush - che si lavori nell'interesse del Paese e al di sopra della strumentalizzazione politica si tratta di una responsabilità che riguarda tutti noi al di là del colore e del partito». Su questo punto il momento è favorevole a Bush: anche se Kerry aderirà al messaggio del presidente, rischierà di aprire il fianco ad attacchi nell'ambito del suo partito. Soprattutto rischierà di lasciare spazio a Ralph Nader, paladino a oltranza dei diritti dei gay, che proprio qualche giorno fa ha annunciato di voler partecipare alla corsa elettorale. Con la proposta di Bush, Nader avrà un argomento in più per giustificare la sua corsa alle presidenziali da indipendente. E Kerry potrebbe trovarsi sulla difensiva.

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