Da La Stampa del 16/02/2004
Osservatorio
Putin è forte ma non deve esagerare
di Aldo Rizzo
Che brutta vigilia elettorale in Russia, a meno di un mese dal voto presidenziale, almeno vista da qui, in Occidente. Torna in auge la grande strategia (nucleare), si parla di libertà di movimento anche per le forze convenzionali, in barba a un trattato del 1992, mentre salta in aria in Qatar l'auto su cui viaggiava il leader ceceno Zelimkhan Yandarbiev, col figlio adolescente; e poi quella strana, torbida storia dell'ex presidente della Duma, Ivan Rybkin, candidato alle elezioni del 14 marzo, scomparso e riapparso, accusando di essere stato rapito e drogato. E intanto resta in carcere quello che poteva essere un concorrente più pericoloso per Putin, il magnate del petrolio Mikhail Khodorkovskij, del cui arresto continua a dirsi «sorpreso e indignato», in un'intervista al Financial Times di giovedì scorso, lo stesso Gorbaciov, che pure è un sostenitore, ma sempre più prudente e condizionato, del capo dello Stato uscente (e sicuramente rientrante).
Naturalmente, non tutti questi episodi sono legati dallo stesso filo, o almeno è possibile che non lo siano. Ma, anche presi uno alla volta, essi danno l'idea, appunto, di un brutto clima. Dicevo del ritorno della «grande strategia», quella, per intenderci, in atto durante la Guerra fredda e il confronto Usa-Urss. Alla fine di gennaio è cominciata un'esercitazione quale non si vedeva da molti anni, col lancio di numerosi missili e con l'impiego di bombardieri strategici, cioè abilitati a traspostare armi nucleari sulle lunghe distanze. I militari russi si sono affrettati a dire che l'esercitazione non è diretta contro nessuno e tanto meno contro gli Stati Uniti, che erano stati avvertiti in anticipo. Ma poi il generale Yuri Baluyevskij, vice capo di Stato maggiore, ha ammesso che è una risposta ai piani americani di sviluppare nuovi tipi di arma nucleare e di difesa antimissilistica. In ogni caso, Mosca ha sentito il bisogno di dimostrare che il suo status di superpotenza militare, almeno quello, resta intatto.
Quanto alle forze convenzionali, è stato lo stesso ministro della Difesa, Sergej Ivanov, a dire al convegno di Monaco sui problemi della sicurezza che la Russia sta pensando di ritirarsi dal Cfe («Conventional Forces in Europe»), un trattato d'importanza storica, perché sancì la fine dello squilibrio a favore dell'Est su questo terreno. E ciò perché Mosca non vuole rinunciare alle sue basi in Georgia e in Moldova, pensando alla situazione in Cecenia e nel Caucaso in generale. Va detto che questo trattato è stato aggiornato nel 1999, proprio per tener conto dei fatti nuovi, anche nell'Europa caucasica, ma a Mosca non è bastato, perché sono peggiorate le cose in Cecenia (anche per colpa sua) e, più generalmente, per dare un segnale di preoccupazione per l'allargamento della Nato.
E, a proposito di Cecenia, sono forti i sospetti che ci siano i servizi segreti russi dietro l'assassinio mirato del leader indipendentista. Probabilmente, Yandarbiev non era estraneo alla feroce ed esecrabile «escalation» del terrorismo, era un nemico dei russi, come del resto tutti i ceceni, e viceversa, ma la sua eliminazione allontana ancora di più quella ricerca di una soluzione «politica» che ha come sola alternativa il proseguimento dei massacri, da ambo le parti. Infine, l'oscura storia di quel Rybkin scomparso e ricomparso, con spiegazioni diverse, tutte equivoche e tutte inquietanti, forse legate a un regolamento di conti tra il potere ufficiale e quello degli oligarchi «eltsiniani», in una carenza sempre maggiore di trasparenza dell'informazione.
Quale conclusione trarre da quest'insieme di episodi, dalle grandi manovre militari ai conflitti ceceni e a quelli interni alla stessa Russia? Che Putin, che già gode di sondaggi al 70-80 per cento, intende confermarli con una generale dimostrazione di forza, ma anche che corre il rischio di sopravvalutare la sua potenza, esterna e interna. Sarebbe un grave danno, per lui, per la Russia, e per l'Occidente, che lo vuole partner ma non ad ogni prezzo. Già l'America, col viaggio a Mosca di Colin Powell, ha preso le distanze, dovrebbe farlo anche l'Europa, in chiave cordiale e pedagogica, e persino Berlusconi, che gli è amico personale, dovrebbe chiedergli di non esagerare.
Naturalmente, non tutti questi episodi sono legati dallo stesso filo, o almeno è possibile che non lo siano. Ma, anche presi uno alla volta, essi danno l'idea, appunto, di un brutto clima. Dicevo del ritorno della «grande strategia», quella, per intenderci, in atto durante la Guerra fredda e il confronto Usa-Urss. Alla fine di gennaio è cominciata un'esercitazione quale non si vedeva da molti anni, col lancio di numerosi missili e con l'impiego di bombardieri strategici, cioè abilitati a traspostare armi nucleari sulle lunghe distanze. I militari russi si sono affrettati a dire che l'esercitazione non è diretta contro nessuno e tanto meno contro gli Stati Uniti, che erano stati avvertiti in anticipo. Ma poi il generale Yuri Baluyevskij, vice capo di Stato maggiore, ha ammesso che è una risposta ai piani americani di sviluppare nuovi tipi di arma nucleare e di difesa antimissilistica. In ogni caso, Mosca ha sentito il bisogno di dimostrare che il suo status di superpotenza militare, almeno quello, resta intatto.
Quanto alle forze convenzionali, è stato lo stesso ministro della Difesa, Sergej Ivanov, a dire al convegno di Monaco sui problemi della sicurezza che la Russia sta pensando di ritirarsi dal Cfe («Conventional Forces in Europe»), un trattato d'importanza storica, perché sancì la fine dello squilibrio a favore dell'Est su questo terreno. E ciò perché Mosca non vuole rinunciare alle sue basi in Georgia e in Moldova, pensando alla situazione in Cecenia e nel Caucaso in generale. Va detto che questo trattato è stato aggiornato nel 1999, proprio per tener conto dei fatti nuovi, anche nell'Europa caucasica, ma a Mosca non è bastato, perché sono peggiorate le cose in Cecenia (anche per colpa sua) e, più generalmente, per dare un segnale di preoccupazione per l'allargamento della Nato.
E, a proposito di Cecenia, sono forti i sospetti che ci siano i servizi segreti russi dietro l'assassinio mirato del leader indipendentista. Probabilmente, Yandarbiev non era estraneo alla feroce ed esecrabile «escalation» del terrorismo, era un nemico dei russi, come del resto tutti i ceceni, e viceversa, ma la sua eliminazione allontana ancora di più quella ricerca di una soluzione «politica» che ha come sola alternativa il proseguimento dei massacri, da ambo le parti. Infine, l'oscura storia di quel Rybkin scomparso e ricomparso, con spiegazioni diverse, tutte equivoche e tutte inquietanti, forse legate a un regolamento di conti tra il potere ufficiale e quello degli oligarchi «eltsiniani», in una carenza sempre maggiore di trasparenza dell'informazione.
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