Da Il Messaggero del 18/02/2004

Alla Sapienza la manifestazione nazionale contro la riforma della docenza. E ora i cattedratici si alleano con il mondo della scuola

L’Università si ribella: «Moratti addio»

Migliaia di docenti in corteo. Disponibile il ministro: «Modifichiamo insieme la legge»

di Luigi Pasquinelli

ROMA La protesta degli universitari esce dalle mura degli atenei, cerca saldature con altri settori della società civile, segue il principio: l’unione fa la forza. Ieri mattina qualche migliaio di persone, tra docenti e studenti, hanno lasciato l’aula magna del rettorato, dove si erano stipati come sardine in scatola, hanno raggiunto i cancelli della ”Sapienza” e in corteo, incolonnati dietro allo striscione Moratti addio , sono passati sotto il Consiglio nazionale delle ricerche e al Policlinico. Dalla cittadella alla città, un’espansione fisica che ben rappresenta l’esigenza, da molti manifestata, di allargare il respiro della contestazione. Si profila la nascita di un fronte comune di opposizione ai modelli didattici e culturali del governo nel quale università, scuola, mondo intellettuale e dello spettacolo partecipino in modo coordinato. «Proporrò ha detto il leader dei Ds Fassino a tutto il centrosinistra e a tutte le forze dell’opposizione una grande manifestazione nazionale sul tema della formazione e della cultura». I docenti in rivolta, intanto, elettrizzati dalle adesioni alla loro causa, che si moltiplicano giorno dopo giorno, hanno proclamato per il 4 marzo un’altra giornata nazionale di agitazione, con occupazione simbolica dei rettorati, e il blocco della didattica nella prima settimana del secondo semestre di studio (che cade in date diverse a seconda degli atenei, in linea di massima tra marzo e aprile). Sempre che, nel frattempo, non si raggiunga un accordo con il ministero. Ieri pomeriggio i sindacati dei docenti, mentre ricercatori precari e dottorandi davano vita a un sit-in sullo scalinata del ministero a Trastevere, hanno incontrato la signora Moratti per convincerla a ritirare senza condizioni la legge delega, ritenuta illiberale e non emendabile. Ma il ministro ha risposto: non posso, perché il ddl è stato già approvato dal Consiglio dei ministri. Si è però dichiarata disponibile a discutere possibili modifiche del testo, articolo per articolo. I due contendenti si riuniranno così, il 25 febbraio mattina, intorno a un tavolo e cercheranno di arrivare a una conciliazione.

Si respirava un’aria battagliera ieri mattina alla Sapienza, l’università che ha raccolto fin dall’inizio il malcontento dei professori, insoddisfatti del modo in cui il governo vuole modificare il loro stato giuridico e l’accesso alla professione accademica. Un malcontento che si è allargato a tutta la Penisola culminando ieri nel primo (dopo tanti anni) sciopero nazionale della categoria. Un mese fa erano poche decine, due settimane fa centinaia, ieri migliaia gli accademici arrivati da ogni parte d’Italia con striscioni che invitavano il ministro Moratti a dimettersi. «Dobbiamo portare al centro del dibattito del paese il mondo della formazione e della ricerca. Non è un problema che riguarda solo l’università, interessa la società italiana nel suo complesso perché deciderà del futuro dei giovani», tuona il prorettore della Sapienza Gianni Orlandi prima di essere sommerso dalle ovazioni. Docenti ordinari, associati, ricercatori, precari, studenti: gli interventi si susseguono nell’aula magna, brevi, arrabbiati. Urlano che il modello del governo non gli appartiene, che l’ideologia aziendalista non è conciliabile con questa università, che la ricerca è un diritto e un dovere della comunità scientifica. Non ce l’hanno solo con il governo ma anche con il centrosinistra, padre di una riforma, quella della didattica (le nuove lauree in tre anni più due) che ha fallito, dicono, i suoi obiettivi. Interviene un rappresentante dei Cobas della scuola, Piero Bernocchi: propone un grande sciopero unitario, in primavera, di tutte le categorie dell’insegnamento, dalla materna all’università. «La giornata di oggi azzarda è solo la prova generale». E l’aula magna esplode, tra urla e applausi.

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