Da La Repubblica del 13/02/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/b/sezioni/economia/parmalat9/ragnatela/r...

Nei verbali dei sei interrogatori il racconto di 20 anni di lobbismo. Legami con Berlusconi, Prodi, Fini, Casini, Alemanno e D'Alema

La grande ragnatela di Tanzi ecco tutti i nomi dei politici

Il "sistema" e le strategie del patron Parmalat: rapporti, favori e finanziamenti a 360 gradi. Ma non ci sono indagati nei partiti

CHE cosa ha raccontato Calisto Tanzi? Le sue rivelazioni sono raccolte in non più di sei, sette pagine a interrogatorio. Gli interrogatori sono stati sei (23, 26, 27, 28, 29 gennaio, 5 febbraio). Le pagine nelle mani dei procuratori di Milano e di Parma sono dunque, più o meno, quaranta. E' soltanto la versione riassuntiva del lungo racconto del patron della Parmalat. Bisognerà attendere la trascrizione integrale dei nastri di registrazione per avere il quadro completo dei ricordi dell'imprenditore di Collecchio. Di molti dettagli, circostanze e intrecci, riferiti a voce (e registrati), ci sono soltanto sintetici accenni nei verbali, ma nelle quasi quaranta pagine raccolte dai pubblici ministeri c'è il disegno di venti anni di rapporti, di amicizie e di legami che, come in una larga e intricata ragnatela, Calisto Tanzi ha intrattenuto con l'élite politica e istituzionale della Prima e della Seconda Repubblica.

E' il racconto di frequentazioni, finanziamenti di eventi, partecipazioni o acquisizioni di società che gli hanno consentito di entrare a far parte di quelli che l'imprenditore di Colecchio definisce i "salotti buoni". E' il resoconto delle iniziative furbe o maliziose o necessarie mosse per entrare nei luoghi che hanno permesso alla Parmalat di essere protetta. O addirittura l'hanno acconciata nella favorevole condizione di influenzare le decisioni pubbliche utili ai destini dell'azienda.

La ragnatela di Calisto Tanzi ha avuto fili e terminali ben profondi nel sistema politico, quale che sia la coalizione che lo ha governato o lo governi. Non appare al momento una macchina corruttiva. Non ci sono in questa storia, nelle ammissioni degli imputati, borse gonfie di denaro o tesori nascosti. Non si legge in questi verbali dell'antica pratica della corruzione che manipola la decisione politica. La ragnatela di Tanzi sembra diventata prospera grazie a una costante attenzione agli interessi degli interlocutori pubblici, contrabbandata come amicizia e nel segno della collaborazione politica, sempre lesta a mutare con il mutare degli equilibri di potere. In qualche caso, addirittura alla luce del sole.

Nella ragnatela, proposta ai magistrati, sono decine e decine i nomi, piccoli, grandi, grandissimi, eccellenti. E non ci ferma all'Italia perché si spazia dai governanti del Brasile ai premier di Argentina, Uruguay, Venezuela. A scorrerne l'elenco programmatico, per dir così, che Tanzi accetta di buttar giù fin dal primo interrogatorio, ci si può rendere conto di quanto fiele può avvelenare la vita pubblica italiana. C'è il nome di Romano Prodi, presidente della commissione europea; del premier Silvio Berlusconi e del vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini. C'è il nome di un ex capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, del presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, di un ex-presidente del Consiglio Lamberto Dini, di un ministro in carica Gianni Alemanno, del presidente del maggior partito dell'opposizione Massimo D'Alema, se solo si vuole stare alla nuova politica e lasciare in un canto la vecchia guardia dei Ciriaco De Mita, Giovanni Goria, Riccardo Misasi, Enzo Scotti.

Calisto Tanzi si rappresenta ai magistrati sistemato al centro di una trama che intreccia solidi e solidali nodi con l'intero schieramento politico nazionale. Accenna alle ragioni della sua strategia. Quelle relazioni con la politica, con i politici gli avrebbero aperto le porte del sistema bancario, avrebbero reso i banchieri più amichevoli. Con la voragine che gli si apriva mese dopo mese sotto i piedi, Tanzi aveva bisogno dell'appoggio finanziario delle banche come dell'aria che respirava. Bisogna ripeterlo ancora. L'imprenditore non rivela ai magistrati nessuna pratica illecita o corruttiva. Chi è vicino al patron della Parmalat ricostruisce così quelle relazioni politiche e istituzionali: "Lo si può definire un lavoro di lobbing. Tanzi non corrompeva i politici. Voleva soltanto creare buoni rapporti di amicizia e collaborazione creando una "fascia di protezione" alle sue attività. Finanziava le iniziative dei politici, le campagne elettorali, sponsorizzava questo o quell'evento, concedeva pubblicità, entrava in affari o faceva fare affari a chi era più vicino a questo o quel leader politico. Poca cosa, a sentir lui. Dai quattro ai sei miliardi di vecchie lire, l'anno. In cambio si attendeva attenzione per le sorti della sua impresa. Da un certo momento in poi, però, Tanzi ha avuto la sensazione, per dir così, di essere costretto a finanziare le iniziative dei politici, quella campagna elettorale, quel giornale o quella manifestazione. In qualche modo, per usare una metafora, da ragno che secerne fili sottilissimi per costruire la sua tela e catturare gli insetti, si è sentito prigioniero di quella stessa trama che aveva costruito".

In questa allegoria della ragnatela che afferra e stritola il suo tessitore, è l'ambiguità della ricostruzione fin qui compiuta da Calisto Tanzi. Ambiguità che spiega le difficoltà che hanno i pubblici ministeri a maneggiare una materia che è, fino a questo momento, senza forma e segno, senza tracce di responsabilità penale. Come distinguere la captatio benevolentiae, che Tanzi cercava di conquistare, da richieste che al patron di Collecchio sono apparse ricattatorie o almeno che oggi dinanzi ai magistrati descrive come autoritarie: insomma, richieste che pensava di non poter rifiutare?

Nel 1994 con la "discesa in campo" di Berlusconi, dice l'imprenditore ai pubblici ministeri, cominciai a finanziare Fininvest. In realtà, spiega poi, la Parmalat incrementò soltanto il gettito pubblicitario a favore delle reti di Berlusconi a scapito della Rai. Mossa per conquistare il gradimento del premier vincente o esplicita richiesta del management della Fininvest? Tanzi non accusa gli uomini di Berlusconi. Offre quell'informazione ai magistrati senza aggiungere altro.

Lo stesso trattamento riserva a Romano Prodi. Partecipai, spiega Tanzi, all'aumento di capitale di Nomisma, entrando nella Si. Sa. G s. r. l insieme ai gruppi Auricchio, Cremonini, Gazzoni Frascara, Rana, Rovagnati, eccetera. Mi attendevo, aggiunge, un certo atteggiamento di Prodi a Bruxelles. Era un'attesa che aveva qualche fondamento nelle promesse o negli impegni del Professore? Anche qui Tanzi non spreca parole né accuse. Registra le sue aspettative. Riferisce una sua deduzione. Gli capita anche con Berlusconi di fare una deduzione.

Nel novembre dello scorso anno, racconta ai pubblici ministeri, mi recai accompagnato da mio figlio Stefano, a Roma, a Palazzo Chigi. Qui incontrammo Berlusconi nel suo ufficio. Gli prospettai le difficoltà della Parmalat e cominciai ad affrontare la questione che più mi stava a cuore sollecitare: il benevolo intervento del sistema bancario per salvare la Parmalat dalla bancarotta. Berlusconi mi disse che aveva poche leve sulle banche. Capii che quell'incontro non avrebbe avuto esito, Berlusconi mi parve molto poco concreto e la nostra conversazione virò sul campionato di calcio. Dopo qualche battuta e soltanto quindici minuti, venni via. E tuttavia, ritornato a Collecchio - ricorda Tanzi - la Consob mi diede un po' di respiro e io pensai che Berlusconi fosse intervenuto, magari con una telefonata a Lamberto Cardia, presidente della Consob.

Soltanto una personale deduzione. Non un fatto, non una circostanza, non un riscontro da rintracciare. E' con questo schema privo di qualche apprezzabile raffronto che Calisto Tanzi chiama in causa Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini. Racconta il patron di Parmalat: in occasione di campagne elettorali, parlai con Casini e Fini che mi indicarono i nomi dei candidati che potevo appoggiare finanziariamente. Ma era Tanzi a proporsi come finanziatore dei candidati di An e Udc nei collegi del Parmense e dell'Emilia o erano i leader di quei partiti a pretendere che egli aprisse il portafoglio alla vigilia delle consultazioni elettorali? Il patron di Collecchio non lo spiega. Lascia cadere il ricordo nell'interrogatorio. Si riserva di spiegare meglio. I pubblici ministeri storcono la bocca, diffidenti.

Con il registro dell'equivocità, Calisto Tanzi evoca così il suo appoggio finanziario a Massimo D'Alema attraverso Marco Minniti e i rapporti con la Lega di Umberto Bossi, con Bruno Tabacci (Udc, presidente della commissione attività produttive), Pierluigi Castagnetti e Renzo Lusetti (presidente e vicepresidente dei deputati della Margherita), con Gianni Alemanno, An, ministro dell'Agricoltura, al quale sarebbe stato finanziato un periodico. A volte, dice Tanzi, il rapporto con il politico non era diretto, ma veicolato attraverso un amico.

Così, racconta, decise di favorire alcuni affari immobiliari dell'architetto Adolfo Salabè, considerato molto vicino al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e a sua figlia Marianna. O per poter contare, se necessario, sui buoni uffici di Lamberto Dini, il patron di Collecchio volle avvalersi, per un'acquisizione in Sud America, di un consulente vicino a Donatella Zingone, consorte dell'ex-presidente del Consiglio.

Con la stessa determinazione di costruire intorno alle sue attività una "fascia di protezione", l'imprenditore di Collecchio dà una mano ai giornali. Rende possibile, negli anni '90 la nascita dell'Informazione, un quotidiano diretto da Mario Pendinelli. Finanzia in un'occasione il Foglio. Concede, su richiesta di Cesare Geronzi, una mano al Manifesto. La Banca di Roma è esposta con il giornale di via Tomacelli e grazie a quel finanziamento, dice Tanzi, l'istituto di credito di cui Geronzi è presidente riduce la "sofferenza". Si convince a garantire pubblicità al Sole-24 ore per tenersi buoni gli uomini di Confindustria.

Come si vede, Calisto Tanzi non lesina nomi ma, agli occhi dei magistrati, risparmia colpevolmente sulle circostanze di riscontro (ammesso che ci siano, ammesso che quelle circostanze siano opache). Il patron è ambiguo, è circospetto. Sembra voler spiegare le sue disavventure con l'oneroso prezzo che ha dovuto pagare alla politica per proteggersi le spalle, per avere un buon nome e un'apprezzata reputazione che gli garantisse "ancora tempo" e quindi la possibilità di far girare sempre più velocemente la giostra delle invenzioni finanziarie nella disperata speranza di salvarsi dal fallimento con il sostegno di un sistema bancario controllato dai politici. Quando si arriva al dunque - ha conquistato quella considerazione con la corruzione e "altro tempo" con il denaro? - Tanzi nega e anche quel diniego è, però, equivoco. Il patron rimanda ai racconti di chi mediava tra Collecchio e il mondo politico, le istituzioni, gli apparati di controllo della Guardia di Finanza. Chi è vicino a Tanzi definisce i tre mediatori "i canestri". I "canestri" hanno un nome e un cognome. Ognuno di loro si occupava di un settore politico e di un territorio. Sono Sergio Piccini (ora deceduto), formalmente responsabile dei rapporti con le istituzioni del gruppo agro-alimentare, Romano Bernardoni, che è stato anche presidente di Parmatour, e a Roma Filippo Troja incaricato - dice Tanzi - di tessere il filo con i vertici della Guardia di Finanza. Soprattutto con Nicolò Pollari, già capo di stato maggiore del comando generale della Finanza, oggi direttore dell'intelligence militare (Sismi), e Francesco D'Isanto, comandante in seconda delle Fiamme Gialle.

Fin qui quello che Repubblica è riuscita a ricostruire delle dichiarazioni del patron della Parmalat. Sono dichiarazioni che, al momento, non hanno permesso all'inchiesta di fare un passo in avanti, né di comprendere come è stato possibile, grazie a chi e a che cosa, che il settimo gruppo industriale italiano abbia potuto accumulare debiti per 13 miliardi di euro.

Una cosa appare certa, Tanzi ritornerà a Milano soltanto come imputato di aggiotaggio nel rito immediato che la Procura si appresta a chiedere. Forse in aula, dinanzi a un pubblico, forse dinanzi ai procuratori di Parma, da ieri unici competenti per quest'affare, Calisto Tanzi riprenderà il filo del discorso oggi interrotto, la rappresentazione di quella ragnatela che ha protetto un'avventura lunga due decenni.

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