Da La Repubblica del 11/02/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/b/sezioni/politica/cdlverifica/primrep/p...

Un finale da prima repubblica

di Curzio Maltese

Nella crisi che avanza, spezza la pace sociale e logora le famiglie, la politica italiana non trova soluzione migliore del rinchiudersi a palazzo. È un ritorno alla Prima Repubblica in grande stile, anche nei riti, nelle formule. La verifica di governo più lunga della storia, 269 giorni, sta per concludersi con un nulla di fatto e di deciso.

All'insegna del più democristiano dei motti, quello che Berlusconi dovrebbe mettere sui nuovi manifesti sei per tre: "Tiriamo a campare".

Nove mesi di diatribe, una montagna di insulti fra alleati per partorire il topolino di un documento dove i temi concreti della divisione (economia, pensioni, scuola, sanità, immigrazione, devolution...) non saranno neppure citati, in favore di un generico appello all'unità. Come bulli di periferia che in fondo alla rissa non ricordano più il motivo scatenante.

Oppure come i governi dorotei d'una volta, appunto, che finivano col mettersi d'accordo sulla gestione del potere per il potere.

Gianfranco Fini, dopo aver minacciato fuoco e fiamme, finge d'esser contento del "consiglio di gabinetto" sull'economia. Una seggiola dalla quale continuerà a dare inascoltati consigli al ministro Tremonti, esattamente come quando era "semplice" vicepresidente del Consiglio. Berlusconi benedice la trovata in politichese stretto: "Abbiamo messo a punto una nuova collegialità", una frase che ricorda le celebri "convergenze parallele". Anche se nel caso del rapporto fra Fini e Tremonti s'adatta meglio un teorema di Marcello Marchesi: "Due linee rette s'incontrano all'infinito, quando ormai non gliene frega più niente".

I due supervisori dell'economia, nonché l'uno dell'altro, si troveranno d'accordo quando i problemi di oggi saranno marciti da un pezzo. Tremonti comunque si considera il vincitore e infatti ha ricominciato a dare i numeri della ripresa. Per salvarlo, Bossi ha dovuto annunciare il ritiro della Lega dal governo almeno una dozzina di volte.

Nella manfrina generale, il meno democristiano paradossalmente appare Follini. È stato l'unico a non alzare mai la voce minacciando la crisi di governo. Però alla fine è stato l'unico a rifiutare la poltrona per conservare le sue idee. Di più, un nipotino di Forlani non poteva fare. Era rimasto col cerino in mano e con la paura di scoprire che metà del partito obbedisce ad Arcore.

Tanto rumore per nulla. Le uniche novità offerte dalla politica in questi mesi sono il lifting di Berlusconi e il nuovo marchio dell'Ulivo. Un po' poco per un paese che attraversa la peggiore crisi produttiva e finanziaria degli ultimi vent'anni. La faccia, il logo, la sacra immagine segnano i confini di una politica che esce da palazzo soltanto per richiudersi nei salotti televisivi, dove lo schermo funziona da quarta parete. Quello che accade oltre lo schermo, nella società, non esiste.

Hanno cominciato un anno fa a spiegare che l'inflazione da euro era soltanto un'inflazione "percepita", non reale. Ora si trovano le piazze piene di gente che nel frattempo ha percepito anche la chiusura delle fabbriche, il licenziamento, i debiti, i tagli alla sanità e alla scuola. Hanno detto che il miracolo sarebbe arrivato, bastava crederci. E gli italiani, a larga maggioranza, ci hanno creduto. Il miracolo non s'è visto e fra i fedeli avanza il dubbio.

Ma il governo ripete che sbagliano, l'economia va a gonfie vele, gli italiani diventano ogni giorno più ricchi. Si tratta soltanto di rimuovere i comunisti infiltrati negli istituti di statistica.

Questo negare la realtà, da pazzi e da mitomani, è peggiore del vecchio teatrino. È la follia di Berlusconi, che tuttavia se ne vanta e la elogia, fra gli applausi del seguito. Non meno insensata, alla lunga, è la pretesa di risolvere tutto con la mistica del capo supremo. Senza alcun rispetto per gli alleati, ridotti a sgabello del suo carisma.

In nove mesi di verifica Berlusconi non si è degnato neppure una volta di entrare nel merito dei problemi sollevati. Fini e Follini da una parte, Bossi dall'altra, hanno messo in campo proposte diverse su tutto, dal federalismo allo stato sociale.

Ma per Berlusconi stavano soltanto "litigando fra loro". E allora non importa sapere chi ha ragione e chi ha torto, scegliere fra una proposta seria e una fesseria padana. Agli occhi del padrone, unto dal Signore e misura dell'universo, l'unico criterio è stabilire chi è fedele e chi non lo è, chi magnifica le sue doti magiche e chi osa criticarlo come un premier qualsiasi, chi condivide le crociate e chi pretende di pensare in proprio. In questo il potere della Prima Repubblica era meno arrogante, meno paranoico o forse soltanto un po' più democratico.

L'unica verifica a questo punto la faranno gli elettori a giugno. Ai governi dell'Ulivo è già capitato di affrontare le elezioni di metà legislatura con l'ottimismo degli invincibili e i sondaggi di corte. Per scoprire il giorno dopo che la realtà aveva preso un'altra strada. Al governo Berlusconi l'esperienza ancora manca, perché il governo del '94 naufragò in pochi mesi. Anche questo è già naufragato e da un pezzo ma nessuno ha il coraggio di dirlo al grande timoniere.

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