Da Il Messaggero del 30/01/2004

Le grandi sfide del Terzo Millennio

di Ted Galen Carpenter

NEGLI Stati Uniti è in corso una vera e propria battaglia per il controllo della politica americana verso la Repubblica popolare cinese (Rpc). Una fazione è costituita da coloro che vogliono sviluppare ulteriormente il rapporto di cooperazione con Pechino, a partire dai risultati ottenuti nel corso dell'ultimo trentennio.

L'altra è formata da chi vede nella Cina una dittatura repressiva, che per giunta costituisce un concorrente economico sempre più scomodo e un avversario strategico emergente per gli Stati Uniti. La prima corrente di pensiero unisce repubblicani tradizionalisti (che si rifà a Nixon e Kissinger), democratici clintoniani a favore del libero commercio, esponenti chiave dell'economia americana, e analisti strategici secondo cui una politica di antagonismo procurerà inutilmente un nuovo nemico all'America. Nelle file opposte, figurano molti "conservatori ideologici", indignati dal brutale trattamento che il governo di Pechino riserva ai dissidenti politici e religiosi e che vedono nella Cina una superpotenza allo stato embrionale; attivisti liberali per i diritti umani, e protezionisti preoccupati dalla concorrenza cinese.

La fazione "conciliatrice" sta conoscendo un lento ma inesorabile declino; mentre i sostenitori della linea dura stanno diventando più forti e sicuri di sé. Se questa tendenza non cambierà in modo significativo, le relazioni tra Washington e Pechino andranno incontro a crescenti tensioni. Malgrado le grandi vittorie ottenute in passato - in particolare l'assenso all'ammissione della Cina nel Wto - i sostenitori del dialogo e dell'“impegno costruttivo” hanno ben poche possibilità di imporsi nel lungo termine. Almeno fino a quando il dibattito continuerà a essere impostato, come accade prevalentemente oggi, su una scelta secca: tenere un atteggiamento morbido (di fatto un appeasement) verso Pechino per tutelare i profitti delle multinazionali americane, oppure ergersi a difesa dei valori fondamentali per l'America.

Cina e Stati Uniti si sono impegnati, dopo l'11 settembre, in una stretta collaborazione nella lotta al terrorismo islamico, e hanno lavorato d'intesa per indurre la Corea del Nord ad abbandonare il suo programma di riarmo nucleare. Nel frattempo, gli importanti rapporti economici tra i due Paesi hanno continuato a crescere, dando vita a un commercio bilaterale il cui volume supera attualmente i 150 miliardi di dollari all'anno. I sostenitori della linea dura, tuttavia, hanno intensificato i propri sforzi su vari fronti cercando di spingere il governo americano a esercitare pressioni sulla Cina contro gli abusi nel campo dei diritti umani; aumentare le vendite di armi a Taiwan; limitare le esportazioni di prodotti ad alta tecnologia; imporre sanzioni come risposta al trasferimento di armi sensibili a regimi politici ostili da parte della Cina; adottare misure protezionistiche per ridurre il deficit della bilancia commerciale bilaterale. Questa pressione a vasto raggio sta in effetti avendo dei risultati.

Ci sarebbe davvero bisogno di una politica più equilibrata e realistica nei confronti della Cina. Questa linea dovrebbe guardare al di là degli stereotipi contrastanti che fanno della Cina o un amico fidato e un "partner strategico" o una minaccia sul piano economico e una versione est-asiatica dell'impero sovietico. Entrambi questi modelli sono fuorvianti, e come tali andrebbero respinti.

È anzitutto necessario respingere i tentativi volti a promuovere il protezionismo commerciale. La tentazione di combinare ragioni commerciali e difesa dei diritti umani è comprensibile; tuttavia, questo atteggiamento repressivo è fin troppo diffuso nel mondo, e gli Stati Uniti non possono permettersi di lasciare che la loro indignazione morale determini i rapporti commerciali con gli altri Paesi. Inoltre, gli obblighi dell'America in quanto membro del Wto limitano notevolmente la possibilità di Washington di condizionare il commercio con la Rpc ai progressi compiuti nel campo dei diritti umani.

Le preoccupazioni relative alla sicurezza sono invece più serie. Una cosa è impegnarsi in modo costruttivo nei confronti della Rpc, un'altra è guardare alla Cina come a un vero partner strategico. Esistono semplicemente troppe divergenze su tutta una serie di questioni politiche e legate alla sicurezza (in particolar modo per quel che riguarda lo status di Taiwan) perché sia possibile consolidare una relazione strategica.

Detto ciò, la minaccia cinese non va sopravvalutata, come tendono invece a fare i sostenitori della linea dura. Fino a oggi, lo sforzo di riarmo cinese è stato relativamente contenuto. Il bilancio ufficiale della Difesa (2002) è attorno ai 20 miliardi di dollari; uno stanziamento comparativamente modesto, anche se la maggior parte degli esperti ritiene che la spesa militare effettiva sia superiore - fra i 35 e i 55 miliardi di dollari.

Considerata l'incertezza su che genere di potenza la Cina sia destinata a diventare, Washington dovrebbe adottare una strategia per definire una serie di principi che possano funzionare in modo adeguato, indipendentemente dall'evoluzione della Cina. Chiave di una strategia del genere è incoraggiare l'emergere di molteplici centri di potere in Asia orientale, incluso l'appoggio a un Giappone più assertivo. L'esistenza di numerosi attori importanti nella politica di sicurezza asiatica complicherebbe automaticamente i calcoli strategici di Pechino e limiterebbe ogni eventuale aspirazione cinese all'egemonia sull'Asia orientale. Optare per una linea di condotta dura, basandosi su questa lettura pessimistica degli scenari futuri, potrebbe in realtà renderli molto più probabili di quanto oggi non siano.
Annotazioni − Sintesi dell'articolo che Ted Carpenter ha scritto per il numero 23 di Aspenia, rivista di Aspen Institute Italia

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