Da Corriere della Sera del 30/01/2004

Profondo Italia

Il popolo delle partite Iva invade il Sud

di Dario Di Vico

A Napoli ci sono 122 mila ditte individuali con partite Iva, un numero impressionante. A Bari sono 109 mila, in Sicilia 324 mila e in Calabria oltre 125 mila. In tutta Italia le ditte individuali secondo l’Unioncamere sono 3,5 milioni, a cui si affiancano 732 mila liberi professionisti con partita Iva. Se si calcola il peso che hanno sull’occupazione e si disegna una cartina dell’Italia viene fuori che il lavoro autonomo è relativamente più diffuso nelle regioni del Mezzogiorno che nel mitico Nord-Est. In Sicilia e in Puglia il 23% degli occupati risulta essere registrato presso le camere di commercio, in Sardegna e Abruzzo il 20% e la Campania sta solo un gradino sotto, al 19%. Sorprendentemente le ditte individuali al Nord pesano di meno sul totale degli occupati: in Veneto rappresentano il 14,8%, in Emilia il 14,4% e in Lombardia solo il 10%. E anche in valori assoluti Sicilia (324 mila micro-imprese) e Campania (310 mila) sono davanti al Veneto (294 mila) e all’Emilia (262 mila). Che cosa è successo, dunque, negli ultimi anni? Mentre l'attenzione degli economisti e dei politici era centrata sul gagliardo popolo nordista delle partite Iva stava maturando a sud di Roma un fenomeno nuovo? Le statistiche ci dicono che completamente inedito non lo è, ma stavolta si presenta in forme differenti dal passato, contrassegnate da un mix tra antico e moderno. Non da oggi nel Mezzogiorno una buona fetta delle ditte individuali corrisponde a minuscole aziende commerciali, dettaglianti e ambulanti che girano i mercatini di paese. Una realtà, spiega Luca Bianchi della Svimez, che «non è stata ancora spazzata via dalle grandi catene di distribuzione, le stesse che al Nord invece hanno trasformato ex partite Iva in lavoratori dipendenti». Ma è certamente è una novità ciò che tra il 1998 e il 2003 si è registrato soprattutto in Campania e in Calabria dove il numero di partite Iva è cresciuto con regolarità a ritmi di 4-5 mila unità l'anno. Nello stesso periodo, invece, «il peso delle imprese individuali nelle regioni settentrionali - ricorda Carlo Sangalli, presidente di Unioncamere - è sceso di cinque punti, a vantaggio di forme organizzative più complesse e maggiormente in grado di reggere il mercato». Come si spiega comunque il boom sudista? Un buon numero di attività in nero legate all’edilizia ha scelto via via di regolarizzarsi, attirato dai super-sconti fiscali (41%) previsti per le ristrutturazioni degli alloggi. E poi il sistema dei prestiti d'onore per i giovani meridionali con voglia di intraprendere ha funzionato. E così «nel Mezzogiorno negli ultimi sei anni - aggiunge Bianchi - sono sorte 30 mila nuove aziende, quasi tutte ditte individuali a partita Iva nate con un basso investimento iniziale. Tante pizzerie al taglio, parrucchieri ed estetisti. Pochissimo high tech».


ATTORI PER CASO - A Napoli si riempie il modulo tributario previsto per le ditte individuali addirittura con il solo scopo di fare la spesa da Metro, l'ipermercato tedesco con ingresso riservato agli operatori commerciali e prezzi più favorevoli. I figuranti della soap opera «Un posto al sole», realizzata nel centro di produzione Rai partenopeo, per lavorare devono aprire la partita Iva. Di puntate in otto anni ne sono state mandate in onda dalla tv di Stato oltre 1.600 e nessuno riesce a tenere il conto degli attori per caso costretti per recitare anche una sola battuta a rivolgersi al commercialista. Elda R., 35 anni, salernitana, è ricercatrice per conto di una struttura universitaria, si autodefinisce «una figlia della flessibilità» e ha dovuto fare la fila, assieme a trenta suoi colleghi, davanti allo sportello dell'ufficio Iva. «Ci siamo inventati consulenti professionali, ma non siamo iscritti a nessun albo o camera di commercio». Pietro Micale, 51 anni, fa da sempre la guida turistica in provincia di Messina. «Cinque anni fa le agenzie di viaggio per cui lavoro mi hanno costretto ad aprire la partita Iva, non serve a niente, non scarico e non carico nulla. L'Inps poi mi ha catalogato come commerciante d'arte, le pare?». Commenta l'economista pugliese Gianfranco Viesti: «La verità è che non sappiamo ancora bene che cosa sia successo nel Sud negli ultimissimi anni. Non sappiamo in quali proporzioni l'aumento delle ditte individuali testimoni una reale effervescenza imprenditoriale o mascheri il sottoimpiego».

Insomma alla domanda se la crescita delle partite Iva segnali la nascita nel meridione di una nuova «zona grigia» dell’economia, a metà tra il sommerso e l’attività regolare, nessuno oggi può dare una risposta esauriente.


LA LEGGENDA DEL NORD-EST. Spostando l'attenzione dal Mezzogiorno al Nord Est la differenza che salta subito agli occhi è il reddito medio. Secondo uno studio della Cgia di Mestre (elaborato su dati ministeriali) una ditta di individuale di Treviso o di Vicenza, stando alle dichiarazioni fiscali, guadagna 17,5 mila euro l'anno, quasi il doppio di una partita Iva del Sud: in Campania e in Puglia si oscilla tra gli 8 e i 9 mila euro. Ma anche il popolo settentrionale dell'Iva è eterogeneo e vittima a un turn over infernale. Per un’azienda che evolve verso l’alto, ce ne sono almeno cinque che aprono e chiudono i battenti nel breve volgere di un lustro. Nel gruppone non ci sono solo le «leggendarie» imprese familiari composte da moglie e marito o da fratello e sorella ma anche tradizionalissimi commercianti, ex dipendenti messisi in proprio, programmatori software, disegnatori e pierre. Claudia C., 33 anni, milanese, vende medicinali alle farmacie, copre 25 mila chilometri l'anno girando per le zone padane e si è comprata l'auto nuova grazie alla Tremonti bis. «I miei guadagni se ne vanno con le tasse e vivo ancora con i miei genitori». Christine Weise, è tedesca, risiede da 16 anni in Italia, fa l'interprete di conferenze e ha due figli. «L'anno che ho partorito l’ultimo ho diminuito gli introiti, il fisco mi ha contestato di non avere raggiunto il tetto minimo e ho dovuto transare. Per non finire in tribunale ho pagato 2.500 euro». Riepiloga Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia artigiani di Mestre: «Il nostro è un mondo composto da soggetti con culture diverse che fanno difficoltà a capirsi e a parlare con una sola voce, ma in Italia siamo circa 4 milioni, la spina dorsale dell'economia».

Intervistando un campione di lavoratori autonomi, accanto alle differenze emergono alcune costanti e persino una comune filosofia «liberista». Le partite Iva venete, lombarde ed emiliane amano sottolineare la loro «scelta individualistica», «la ricerca di libertà», «il rischio» che si sono assunti e indicano come nemici giurati la burocrazia e il fisco. È facile notare come otto volte su dieci queste idee si sposino con un'accentuata simpatia per il centrodestra, ma come siano penetrate anche in campo avverso. Carlo Erbasecca, consulente informatico di Bologna, ha 47 anni, viene da una famiglia operaia e vota per l'Ulivo. Racconta: «Il carico fiscale è pesante, sono costretto ad arrampicarmi sugli specchi con il mio commercialista per trovare tutte le scappatoie possibili. Come auto ho comprato un pick up per immatricolarlo come autocarro, scarico le spese del telefono cellulare e del computer». Il paragone con i lavoratori dipendenti è ricorrente. «Le garanzie? Non le conosco. I servizi sanitari me li pago da solo. In banca se non puoi produrre una busta paga non ti considerano affidabile. Nel '98 volevo comprare una Fiat Palio in promozione, ho portato il mio modello 730, documenti di ogni tipo, il 740 di mia moglie e non mi hanno concesso il finanziamento».


DELUSI E CONDONATI. Nonostante che le elezioni politiche siano state vinte dalla Casa delle Libertà e l'economia sia retta da Giulio Tremonti, il politico che più si è speso per rappresentare questo universo, gli ultimi due anni non sono stati vissuti dalle partite Iva come una marcia trionfale. Il fisco leggero non l’han visto. «Una vera riforma è ancora un'utopia», sostiene Bortolussi. «Io sono più vicino al centrodestra ma hanno fatto davvero poco - aggiunge Giorgio Roveri della Cna -. La stessa riforma Biagi non ha aiutato a chiarire le differenze tra imprenditori di se stessi, nuovi professionisti e co.co.co. Tra poco quando saranno obbligati a diventare lavoratori a progetto, molti co.co.co. dovranno aprire la partita Iva».

Nemmeno il nuovo concordato fiscale o l’Ires, appena nati, sembrano delle grosse novità. «Per noi non cambierà nulla - dicono alla Cgia -. Il primo permette solo una migliore programmazione del pagamento delle imposte e l'Ires aiuta le grandi aziende, non noi».

Se la via nobile al fisco leggero è fallita, i critici del ministro Tremonti sostengono che il popolo delle partite Iva è stato ricompensato con la politica dei condoni, una scorciatoia che combina la semplificazione delle procedure con robusti sconti erariali. Del resto i lavoratori autonomi nella vulgata socio-politica sono considerati evasori incalliti, grazie alla possibilità di scaricare fiscalmente le spese connesse all'attività lavorativa. Accade però che un tavolo che viene comprato per l'ufficio e portato in detrazione spesso finisca nel salotto di casa. E lo stesso vale per i conti del ristorante, i vestiti e i week end con la fidanzata. «Sono frottole - replica Alessandro Dassara, ex geologo e ora programmatori di siti web -. Speravo che il mito dello scarico esistesse davvero, invece telefono e abbonamento Internet li posso detrarre solo per il 50%. E per scaricare l'affitto ho dovuto portare al commercialista la mappa dell'appartamento. Ho potuto detrarre solo gli 8 metri quadri della stanza dove lavoro».

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