Da Corriere della Sera del 27/01/2004

Teheran, parlamento "occupato" pacificamente

Deputati a gambe incrociate sui tappeti, le colleghe sedute sui divani, nugoli di bambini che giocano, scrittori, filosofi, docenti universitari che si alternano al microfono sotto striscioni gialli, azzurri, rossi

di Paolo Conti

TEHERAN - Al sedicesimo sit-in di protesta organizzato dai deputati progressisti iraniani davanti all’aula parlamentare e sotto le solite due fotografie d’ordinanza, cioè l’Imam Khomeini e l’attuale Guida della Rivoluzione Alì Khamenei, partecipano in tanti: i parlamentari (gli uomini seduti a gambe incrociate sui tappeti, le donne più composte sui divani), nugoli di bambini che giocano (i loro figli), scrittori, filosofi, docenti universitari che si alternano al microfono e ripetono dal 12 gennaio un solo slogan sotto tanti striscioni di protesta gialli, azzurri, rossi: elezioni libere, democrazia.

In qualsiasi Paese del mondo un sit-in che si rispetti si organizza fuori e contro un Parlamento. L’Iran fa (ovviamente) eccezione. Qui i deputati protestano in casa perché l’11 gennaio il Consiglio dei Guardiani (sei clerici indicati da Khamenei, sei giuristi designati dal capo del potere giudiziario, quindi due fonti di nomina conservatrici) ha bocciato 3.600 delle 8.157 candidature presentate alle elezioni per il rinnovo del Majlis (il Parlamento iraniano) del 20 febbraio per «mancato rispetto dell’Islam e della Costituzione». Tra gli interdetti 85 deputati uscenti dello schieramento progressista maggioritario: Mohammad Reza Khatami, fratello del presidente della Repubblica e leader del Fronte di partecipazione dell’Iran islamico, il presidente della commissione della politica estera Mohsen Mirdamadi, fautore di una riapertura delle relazioni con gli Usa, persino la neocandidata moglie del Khatami fratello, l’affascinante Al Zahara Eshiraqi, che per puro inciso è anche nipote dell’Ayatollah Khomeini.

La crisi è apertissima. Khamenei ha tiepidamente «esortato» i Guardiani a rivedere la decisione. I riformisti hanno risposto col sit-in e compattandosi col presidente Mohammad Khatami e lo speaker moderato del Majlis, Mehdi Karroubi, che hanno sposato la causa. Hanno fatto due conti: in queste condizioni 180 seggi su 290 sono virtualmente già assegnati ai conservatori, non esiste competizione. Il 7° Majlis potrebbe tornare, dopo una legislatura progressista che ha sfiduciato gli iraniani per l’eccessiva prudenza delle riforme, ai conservatori cari a Khamenei. Magari per aprire agli Usa, consegnare i prigionieri di Al Qaeda in mani iraniane ai Paesi di origine come vuole Washington, pilotare una nuova stagione di affari con l’America, dar fiato all’economia asfittica. E, chissà, stupire tutti varando davvero le riforme. Fantasie? Forse. O forse no.

E la piazza? L’ultimo desiderio (o la paura?) dei progressisti è portare la gente per le strade. Il Khatami presidente per primo ha invitato alla calma. Per capire che aria tira basta chiedere durante il sit-in all’«altro» Khatami: «Sollecitare una manifestazione? Sarebbe una rivoluzione. E noi tutto vogliamo tranne una rivoluzione. Una protesta di piazza sarebbe un ottimo pretesto per gli estremisti per reprimere. Facile immaginare le conseguenze». Moderazione anche sul Consiglio dei Guardiani: «Questo organismo esiste nella Costituzione. Lo sappiamo. Ma ora il Consiglio si muove contro la Costituzione stessa e si pone nell’illegalità». Niente contestazione del principio del Velayat-e Faqui, il governo del clero, la radice stessa del khomeinismo: «La gente dell’Iran è religiosa e desidera una luce di fede nella vita politica. Ma ciò non significa che un clerico possa fare ciò che vuole solo perché è un religioso. Qui si sta attaccando la democrazia perché c’è un parlamento che ha il diritto di legiferare».

Per farla breve, i progressisti hanno ancora una volta scelto la strada dell’estrema prudenza in nome del principio enunciato dal Khatami junior: «Sappiamo bene che molta gente è sfiduciata per il passo lento dei cambiamenti. Ma noi dobbiamo consolidare, far radicare la democrazia che ha ancora bisogno di rafforzarsi culturalmente nella società. In mille anni di storia abbiamo avuto troppe dittature».

Cala la sera, i deputati vanno in massa a pregare coi figli. Non resta che aspettare il 30 gennaio, giorno di chiusura per le candidature. I Guardiani ci ripenseranno davvero?

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