Da Il Messaggero del 20/01/2004
Spagna, il canto del cigno di Aznar
Elezioni il 14 marzo: il premier non si candida ma pilota la campagna
di Josto Maffeo
MADRID - Il conto alla rovescia è cominciato ieri pomeriggio. Lo zero sarà il 14 marzo, quando le urne congederanno José María Aznar dal Palazzo della Moncloa, dove dal 1996 ha mantenuto il timone della Spagna, e diranno se alla successione sarà chiamato il ”delfino” Mariano Rajoy, ex vicepremier e da qualche mese leader assoluto del Partito popolare. Oppure, ma i sondaggi oggi non lo prospettano, se quella domenica di marzo avrà luogo l’alternanza e il potere andrà ai socialisti di José Luis Rodríguez Zapatero, che crede di avere non poche chances.
Ieri, dopo un previsto consiglio dei ministri straordinario, Aznar si è recato dal re Juan Carlos per la firma del regio decreto con cui si sciolgono le Camere e si fissa la data elettorale. Il resto fa parte delle formalità di rito, ma prende il via una pre-campagna che in realtà è già cominciata da tempo ed è particolarmente accesa. Da quando, soprattutto, al contenzioso del Paese Basco, regione autonoma governata da un partito nazionalista democratico ma indipendentista e che ormai non obbedisce neppure alle sentenze della magistratura, si è aggiunta la novità catalana: dopo 23 anni di governo ininterrotto dei nazionalisti democratici, non separatisti, di Jordi Pujol, il socialista Pasqual Maragall governa la prospera regione autonoma appoggiato dalla sinistra indipendentista di Josep Lluís Carod-Rovira e dai verdi e post-comunisti. Roba da far accapponare la pelle ad Aznar e al suo centrodestra, che paventa una Spagna in frantumi nonostante le rassicurazioni dei socialisti.
Aldilà delle tensioni e delle scaramucce pre-elettorali, con la decisione di ieri si apre anche un nuovo tempo, quello del bilancio. Si analizzano - ora dalla stampa, prossimamente verranno panegirici e violente critiche dei partiti - le due legislature di un Aznar che ha deciso di abbandonare la politica, almeno quella di prima linea domestica, proprio quando nessuno gli faceva ombra. Una decisione che i correligionari hanno applaudito sul piano dell’etica, come messaggio ai professionisti della politica, ma che i più non hanno capito e tanto meno digerito. Eppure, questi gesti per Aznar sono importanti, come importante è stato esaurire fino alle ultime settimane il periodo dei due mandati ottenuti alle urne.
I primi bilanci della stampa parlano di un Aznar che, soprattutto nel corso della sua prima legislatura, ha saputo accelerare il trend della crescita economica ereditata dai socialisti di González, richiamando gli investitori e le aziende estere a colpi di deregulation e di snellimento dei contratti di lavoro. Quelli che le sinistre definiscono ”contratti spazzatura”, ma che hanno consentito di ridurre notevolmente il tasso di disoccupazione e il decollo dell’economia. Nel cahier de doléance finisce, sempre secondo i critici, l’Aznar della seconda legislatura, il José María rigido e autoritario, quello dell’antiterrorismo come discorso quasi unico e che l’ha portato, per esempio, all’incondizionale alleanza con Bush, soprattutto in un conflitto iracheno osteggiato dal novanta per cento della popolazione. Sono le prime pennellate, le stoccate e i canti di sirena nei prossimi giorni.
Ieri, dopo un previsto consiglio dei ministri straordinario, Aznar si è recato dal re Juan Carlos per la firma del regio decreto con cui si sciolgono le Camere e si fissa la data elettorale. Il resto fa parte delle formalità di rito, ma prende il via una pre-campagna che in realtà è già cominciata da tempo ed è particolarmente accesa. Da quando, soprattutto, al contenzioso del Paese Basco, regione autonoma governata da un partito nazionalista democratico ma indipendentista e che ormai non obbedisce neppure alle sentenze della magistratura, si è aggiunta la novità catalana: dopo 23 anni di governo ininterrotto dei nazionalisti democratici, non separatisti, di Jordi Pujol, il socialista Pasqual Maragall governa la prospera regione autonoma appoggiato dalla sinistra indipendentista di Josep Lluís Carod-Rovira e dai verdi e post-comunisti. Roba da far accapponare la pelle ad Aznar e al suo centrodestra, che paventa una Spagna in frantumi nonostante le rassicurazioni dei socialisti.
Aldilà delle tensioni e delle scaramucce pre-elettorali, con la decisione di ieri si apre anche un nuovo tempo, quello del bilancio. Si analizzano - ora dalla stampa, prossimamente verranno panegirici e violente critiche dei partiti - le due legislature di un Aznar che ha deciso di abbandonare la politica, almeno quella di prima linea domestica, proprio quando nessuno gli faceva ombra. Una decisione che i correligionari hanno applaudito sul piano dell’etica, come messaggio ai professionisti della politica, ma che i più non hanno capito e tanto meno digerito. Eppure, questi gesti per Aznar sono importanti, come importante è stato esaurire fino alle ultime settimane il periodo dei due mandati ottenuti alle urne.
I primi bilanci della stampa parlano di un Aznar che, soprattutto nel corso della sua prima legislatura, ha saputo accelerare il trend della crescita economica ereditata dai socialisti di González, richiamando gli investitori e le aziende estere a colpi di deregulation e di snellimento dei contratti di lavoro. Quelli che le sinistre definiscono ”contratti spazzatura”, ma che hanno consentito di ridurre notevolmente il tasso di disoccupazione e il decollo dell’economia. Nel cahier de doléance finisce, sempre secondo i critici, l’Aznar della seconda legislatura, il José María rigido e autoritario, quello dell’antiterrorismo come discorso quasi unico e che l’ha portato, per esempio, all’incondizionale alleanza con Bush, soprattutto in un conflitto iracheno osteggiato dal novanta per cento della popolazione. Sono le prime pennellate, le stoccate e i canti di sirena nei prossimi giorni.
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