Da Corriere della Sera del 19/01/2004
Marocco, riforma del codice
Donne e Islam. Il passo avanti del diritto
di Magdi Allam
Vista dalla nostra sponda del Mediterraneo, la recente approvazione da parte del Parlamento del Marocco della nuova Mudawwana , il Codice di famiglia, che sancisce la parità tra i due sessi in tema di matrimonio, divorzio e tutela dei figli, è un indubbio passo in avanti verso l'emancipazione femminile e il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana. Eppure il clima che si respira tra i nostri dirimpettai non è del tutto festoso. L'iniziativa, promossa dal giovane sovrano Mohammed VI, ha scosso dalle fondamenta una società prevalentemente agricola, ancorata a valori maschilisti, plasmata da un modello di società patriarcale e, soprattutto, asfissiata dalla cappa di un analfabetismo che colpisce mediamente metà della popolazione. «Non illudetevi!». «Pari dignità alle donne? La nuova legge finirà come carta straccia!». E' il timore di tanti marocchini laici, esponenti del ceto medio metropolitano. Ma che su questa delicatissima materia condividono l'opinione degli integralisti islamici. Una solida certezza che deriva dalla constatazione della realtà del Paese: nelle campagne l'86 per cento delle donne non sanno né leggere né scrivere.
«Il re avrebbe dovuto prima dare l'istruzione alle donne. A quel punto si sarebbero conquistate da sole i loro diritti. Ma concedere loro la parità tra i sessi quando non sono neppure in grado di comprendere quali siano i propri diritti, è come mettere il carro davanti ai buoi», commenta una militante femminista che preferisce mantenere l'anonimato.
Una militante che da un lato gioisce per il promulgamento della legge, dall’altro esibisce una forte preoccupazione per la reazione della gente. Nella consapevolezza che la maggioranza della popolazione è succube di una cultura tradizionalista: «L’Islam c’entra poco. Il problema è un retaggio culturale che accomuna uomini e donne. Difficilmente superabile dall’oggi al domani».
La preoccupazione dei nostri interlocutori appare fondata anche avvalendosi del metodo comparativo. La Tunisia, l’unico Stato arabo che dall’indipendenza nel 1956 dispone di un Codice dello statuto personale che sancisce la parità tra i due sessi, registra una discrepanza tra la realtà formale e l’applicazione concreta della legge. Perché il Codice deve confrontarsi con una società tradizionale e perché taluni giudici, condizionati da una cultura conservatrice, propendono per un’interpretazione faziosa della legge.
Eppure qualcosa si muove. L’onda lunga della globalizzazione dei mercati, dell’economia, dell’informazione e dei valori sta contagiando anche le società tradizionali arabe. Seppur lentamente, il processo di alfabetizzazione ed emancipazione femminile progredisce. Soprattutto nelle metropoli. L’affermazione della donna protagonista sta provocando dei significativi mutamenti sociali. Basta leggere le statistiche sulla crescita dei divorzi in Egitto: prima sono raddoppiati nel corso del decennio ’90, poi sono addirittura quadruplicati tra il 2000 e il 2002. Ebbene proprio a partire dal 2000 la donna egiziana ha la facoltà di esigere dal futuro marito il riconoscimento formale del proprio diritto a divorziare nell’atto di matrimonio. Per contro l’interpretazione corrente della sharia , la legge islamica, attribuisce soltanto al marito il diritto di ripudiare la moglie.
Tutto ciò deve indurci a considerare con ottimismo e prudenza quanto sta avvenendo tra i nostri vicini di casa. Il riconoscimento dei diritti umani, al pari dell’esercizio della democrazia, è il risultato di processi sociali vivi che devono tener conto della realtà economica e culturale della popolazione. Non possono essere fenomeni imposti dall’alto. Dettati dall’esterno. Non tranquillizza il fatto che re Mohammed VI avesse preannunciato la nuova Mudawwana durante la visita in Marocco del presidente francese Chirac lo scorso ottobre.
Lo stesso discorso vale per il nuovo Iraq alle prese con il progetto di democratizzazione americano. L’universalità dei diritti è un principio sacrosanto. Ma la realizzazione deve essere lasciata a ciascun popolo.
«Il re avrebbe dovuto prima dare l'istruzione alle donne. A quel punto si sarebbero conquistate da sole i loro diritti. Ma concedere loro la parità tra i sessi quando non sono neppure in grado di comprendere quali siano i propri diritti, è come mettere il carro davanti ai buoi», commenta una militante femminista che preferisce mantenere l'anonimato.
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