Da The New York Times del 18/01/2004

Un radicale per battere i repubblicani

di Paul Krugman

Wesley Clark ha avuto di recente parole forti rispetto allo stato in cui versa la nazione: "Credo che la nostra democrazia sia a rischio - ha detto - Credo che abbiamo a che fare con l'amministrazione più chiusa, imperialistica e pericolosa a memoria d'uomo. Fa impallidire addirittura quella di Richard Nixon".

Il generale ha capito bene: intuisce che l'America sta vivendo quello che Kevin Phillips nel suo ultimo straordinario libro "American Dynasty" definisce un "momento machiavellico". Tra l'altro questo ci dice che il generale Clark e Howard Dean si ritrovano sulla stessa sponda del grande spartiacque democratico.

La vera divisione nella corsa per la nomination democratica è tra chi è intenzionato a mettere in discussione non solo le politiche ma anche l'onestà e le motivazioni della gente che governa il nostro paese, e chi no. Non sono le posizioni politiche di Dean a farlo apparire radicale, ma la sua volontà - condivisa, ora lo sappiamo, dal generale Clark - di assumere una linea dura contro l'amministrazione Bush.

La cosa scandalizza alcuni veterani dei tempi di Clinton, nostalgici di elezioni vinte enfatizzando gli aspetti positivi del proprio partito più che criticando gli avversari. In effetti i manager della campagna di Bush hanno già chiarito di voler fare dell'"ottimismo" del presidente, contrapposto al negativismo dei suoi astiosi avversari, uno dei temi dello scontro elettorale.

Ma neppure Bill Clinton sarebbe riuscito quest'anno a condurre con successo una campagna nel suo caratteristico stile, e questo per varie ragioni. Una è che il candidato democratico, per quanto vicino all'imprenditoria, non riuscirà ad ottenere dalle imprese il sostegno finanziario accordato a suo tempo a Clinton.

Nell'era Clinton un democratico aveva ancora la possibilità di raccogliere ingenti somme dagli imprenditori, in parte perché c'erano imprenditori liberal, e in parte perché i finanziatori puntavano, prudentemente, su più cavalli. Ma oggi i repubblicani controllano tutte e tre le branche del governo con un pugno di ferro. Persino le categorie imprenditoriali che guardano con grande apprensione all'amministrazione Bush - e sono più numerose di quanto si immagini - hanno timore a finanziare i democratici.

Un'altra ragione è che i collaboratori di Bush sono davvero nixoniani. L'inchiesta su "The price of Loyalty" di Ron Suskind (il libro sulle rivelazioni dell'ex ministro del Tesoro O'Neill, ndr) mostra fino a che punto siano disposti ad arrivare per intimidire le voci critiche. Un candidato positivo, dai modi gentili, verrebbe sbranato vivo. Qualunque democratico deve aspettarsi non solo un atteggiamento fortemente tendenzioso da parte dei media repubblicani - si sa, equilibrati e imparziali - ma anche un trattamento sperequato da parte dei media convenzionali.

Qual è allora la risposta? Un candidato democratico avrà possibilità di vincere la corsa alla presidenza solo se disporrà di una base galvanizzata, disposta a contribuire alla campagna con molte piccole donazioni in denaro, con il proprio tempo, pronta a sostenere il candidato contro tattiche diffamatorie e un atteggiamento sleale da parte dei media.

Non significa che il candidato democratico debba essere radicale - il che è un vantaggio, visto che tutti i candidati oggi sono decisamente moderati. Al partito serve un candidato in grado di trasmettere il messaggio che il radicale non è lui, ma Bush.
Annotazioni − Traduzione di Emilia Benghi

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