Da Il Manifesto del 13/01/2004

Politica o quasi

Dati rubati, dati in fuga

di Ida Dominijanni

Su la Repubblica di giovedì scorso e su le Monde di ieri il filosofo Giorgio Agamben annuncia urbi et orbi la sua decisione di annullare il corso che avrebbe dovuto tenere a marzo prossimo alla New York City University e chiede ad altri intellettuali e docenti europei di fare altrettanto. Ha ragione e il gesto, nel suo piccolo, suggerisce quante pratiche di opposizione si possono inventare anche in tempi in cui l'opposizione con la O maiuscola latita e la rappresentanza fa cilecca. Si tratta di questo. Secondo le nuove norme antiterrorismo, i cittadini stranieri che entrano negli Stati uniti con un visto di lavoro o di studio vengono schedati e devono farsi prendere le impronte digitali. Agamben si rifiuta di farlo, e precisa che il suo rifiuto non attiene a una questione di sensibilità personale (anzi, scrive, la sensibilità potrebbe suggerire di piegarsi a sopportare per solidarietà pratiche di controllo già in funzione per i sospetti criminali, vedi gli immigrati in Italia secondo la Bossi-Fini, o i perseguitati politici), ma a una posizione politica. Le norme americane sono infatti un sintomo eloquente di quello che va diventando lo «statuto biopolitico» della cittadinanza democratica, ovvero la sua sottoposizione a una quantità tale di dispositivi di sorveglianza da configurare un controllo totale sui corpi da parte dei governi. E, aggiunge Agamben, non ne va "solo" delle libertà individuali, ma del destino della politica: «Ai dispositivi mediatici che controllano e manipolano la parola pubblica, corrispondono i dispositivi tecnologici che iscrivono e identificano la nuda vita: tra questi due estremi - una parola senza corpo e un corpo senza parola - lo spazio di quella che un tempo si chiamava politica è sempre più esiguo e ristretto». A queste parole c'è poco da aggiungere, se non l'auspicio che al segnale di resistenza individuale di Agamben altri ne seguano. Si possono in compenso aggiungere altri segnali di stupidità del potere, micro e macro, nell'uso repressivo delle nuove tecnologie: basta pescare nella cronaca che ormai ne fornisce a josa. Pochi giorni fa - ne ha scritto Francesca Pilla sul manifesto di martedì scorso - all'ente per il diritto allo studio di Napoli è venuto in mente di rilevare le impronte agli studenti universitari che fanno uso dei buoni pasto a mensa e nei ristoranti convenzionati, onde controllare che i preziosi tagliandini non vengano ceduti a amici che non ne hanno diritto; e quel che è peggio, pare che molti studenti si siano dichiarati d'accordo. Che fine farebbero i dati rilevati e schedati non si sa; dovrebbero essere cancellati immediatamente, sostiene l'assessore regionale alla ricerca, ma ovviamente nessuno può garantirlo, come nessuno garantisce che spariscano nel nulla le migliaia di dati personali che ormai cediamo inconsapevolmente transitando sotto cellule e telecamere di sorveglianza ovunque disseminate a fini, va da sé, di «sicurezza».

Un altro segnale, solo apparentemente di segno opposto, viene da Cuba e lo prendo da una corrispondenza di Maurizio Molinari da New York sulla Stampa di ieri: si tratta del divieto di accedere a Internet testé emanato da Fidel Castro, divieto che riguarda tutti i cubani salvo gli alti funzionari del regime, i militari e il personale medico, che saranno forniti di una speciale autorizzazione rilasciata da un apposito ufficio governativo. Motivazione ufficiale, evitare atti criminali non meglio specificati e «l'uso fraudolento» della Rete; motivazione reale, impedire le comunicazioni con l'estero e la fuga di informazioni sulle incontrollabili autostrade di fibre ottiche. A differenza che nei due casi precedenti, qui a fini di controllo il potere non usa le tecnologie, ma le vieta: la soluzione è opposta, l'intenzione è la stessa. Ma quest'ultimo esempio serve almeno a ricordarci che delle tecnologie il potere può vivere ma può anche morire, o almeno sentirsene gravemente minacciato; e viveversa la libertà individuale può esserne minacciata, ma può anche avvalersene. Anche in tempi biopolitici, i campi del conflitto non si chiudono ma si moltiplicano.

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