Da lavoce.info del 30/12/2003
Originale su http://www.lavoce.info/news/view.php?id=14&cms_pk=842&from=index
Se l’onestà non paga
di Luigi Zingales
Il crac della Parmalat ha lasciato tutti sbigottiti. Non solo per l’entità, ma per il tipo di impresa coinvolta. Di fronte agli scandali Enron e WorldCom era fin troppo facile scaricare la colpa sulle stock options, l’avidità dei manager americani, la complessità delle operazioni finanziarie su cui queste società vivevano. Ma come è potuto accadere nella nostra Parma, simbolo della laboriosità e dell’efficienza padana, a un industriale come Calisto Tanzi, famoso per il suo attaccamento ai fondamentali valori cattolici? Come è potuta, questa mega truffa finanziaria, continuare per quindici anni, come sembra trasparire dalle prime indagini?
UN FENOMENO GLOBALE
Spiegazioni contingenti sono inadeguate. Questo è un fenomeno globale, che non ha colpito solo l’America e l’Italia, ma anche l’Olanda (con Ahold) e, in passato, l’Inghilterra (con Maxwell). La moralità degli operatori non basta più.
Bernard Ebbers, l’amministratore delegato di WorldCom, è un buon cristiano, adorato dai suoi concittadini, ai cui bambini insegnava religione tutte le domeniche. Ma questo non gli ha impedito di alterare i bilanci. Occorrono quindi nuove regole, ma quali?
Prima ancora di conoscere le cause del crac Parmalat, il presidente della Consob, Lamberto Cardia, si è affrettato a chiedere più poteri per la Consob, mentre il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha colto l’occasione per spingere il suo disegno di un’unica autorità per il risparmio.
Entrambe sono iniziative meritevoli, ma dubito che possano eliminare questi scandali. In America, la Sec ha molti più poteri della Consob, ma non è riuscita a prevenire scandali ancora peggiori.
Neppure le riforme di corporate governance, introdotte negli Stati Uniti dopo i casi Enron e WorldCom, sembrano essere molto efficaci.
Prima del crollo, Enron seguiva tutte le migliori pratiche di corporate governance. Aveva nel suo consiglio di amministrazione personaggi indipendenti, stimati, e molto qualificati, a cominciare dall’ex rettore della Stanford Business School, luminare in contabilità. Se la frode gli è passata sotto il naso, come possiamo sperare che altri siano in grado di identificarle?
La verità è che il mondo della finanza si basa sulla fiducia e quindi si presta ad abusi da parte di chi, per disperazione o mancanza di scrupoli, è disposto a falsificare documenti, mentire, ingannare.
Qualsiasi controllo esterno fa fatica a individuare un problema, quando esiste la connivenza dei dipendenti chiave. Per eliminare questi scandali, quindi, è necessario spezzare il muro di omertà interna. Ma come?
Perché i dipendenti Parmalat non hanno parlato prima?
PREMIARE L’ONESTÀ
Non è solo un malinteso senso di lealtà. Il vero problema è che l’onestà non paga abbastanza.
A fronte degli enormi danni sociali causati da queste frodi, non esiste un adeguato compenso per le persone che contribuiscono a portarle alla luce. Non solo chi fa la soffiata spesso si attira (ingiustamente) l’odio delle vittime, ma in aggiunta vede la propria carriera compromessa. Chi vuole assumere uno "spione"? Considerate il caso del direttore degli uffici informatici Parmalat, Ugo Bianchi, che si è semplicemente rifiutato di distruggere gli archivi elettronici, come gli era stato ordinato. Ha compiuto un atto socialmente encomiabile, ma non riceverà mai una ricompensa (al di là dell’elogio sul Corriere della Sera). Anzi. Questo suo gesto lo renderà meno appetibile per futuri datori di lavoro, che preferiranno un dipendente leale a uno onesto. Lo stesso vale per i dipendenti Enron e WorldCom che hanno messo in luce gli scandali. Molti elogi sui giornali (perfino la copertina di Time), ma molte difficoltà sul lavoro.
Se il problema è che l’onestà non paga abbastanza, la soluzione è di aumentarne il rendimento per legge. Basta stabilire una ricompensa per chiunque permetta di far emergere una frode finanziaria, con un compenso proporzionato alla sua entità. Pensate forse che la truffa di Parmalat sarebbe durata quindici anni se ci fosse stata una ricompensa, diciamo del 10 per cento della dimensione della truffa, per chi avesse fornito informazioni utili alla sua identificazione? Sono pronto a scommettere di no.
Abbiamo accettato di lasciare liberi assassini (come quelli di Walter Tobagi), pur di stroncare il fenomeno delle Brigate Rosse. Perché non spendere qualche euro per premiare gli onesti e stroncare la criminalità economica?
UN FENOMENO GLOBALE
Spiegazioni contingenti sono inadeguate. Questo è un fenomeno globale, che non ha colpito solo l’America e l’Italia, ma anche l’Olanda (con Ahold) e, in passato, l’Inghilterra (con Maxwell). La moralità degli operatori non basta più.
Bernard Ebbers, l’amministratore delegato di WorldCom, è un buon cristiano, adorato dai suoi concittadini, ai cui bambini insegnava religione tutte le domeniche. Ma questo non gli ha impedito di alterare i bilanci. Occorrono quindi nuove regole, ma quali?
Prima ancora di conoscere le cause del crac Parmalat, il presidente della Consob, Lamberto Cardia, si è affrettato a chiedere più poteri per la Consob, mentre il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha colto l’occasione per spingere il suo disegno di un’unica autorità per il risparmio.
Entrambe sono iniziative meritevoli, ma dubito che possano eliminare questi scandali. In America, la Sec ha molti più poteri della Consob, ma non è riuscita a prevenire scandali ancora peggiori.
Neppure le riforme di corporate governance, introdotte negli Stati Uniti dopo i casi Enron e WorldCom, sembrano essere molto efficaci.
Prima del crollo, Enron seguiva tutte le migliori pratiche di corporate governance. Aveva nel suo consiglio di amministrazione personaggi indipendenti, stimati, e molto qualificati, a cominciare dall’ex rettore della Stanford Business School, luminare in contabilità. Se la frode gli è passata sotto il naso, come possiamo sperare che altri siano in grado di identificarle?
La verità è che il mondo della finanza si basa sulla fiducia e quindi si presta ad abusi da parte di chi, per disperazione o mancanza di scrupoli, è disposto a falsificare documenti, mentire, ingannare.
Qualsiasi controllo esterno fa fatica a individuare un problema, quando esiste la connivenza dei dipendenti chiave. Per eliminare questi scandali, quindi, è necessario spezzare il muro di omertà interna. Ma come?
Perché i dipendenti Parmalat non hanno parlato prima?
PREMIARE L’ONESTÀ
Non è solo un malinteso senso di lealtà. Il vero problema è che l’onestà non paga abbastanza.
A fronte degli enormi danni sociali causati da queste frodi, non esiste un adeguato compenso per le persone che contribuiscono a portarle alla luce. Non solo chi fa la soffiata spesso si attira (ingiustamente) l’odio delle vittime, ma in aggiunta vede la propria carriera compromessa. Chi vuole assumere uno "spione"? Considerate il caso del direttore degli uffici informatici Parmalat, Ugo Bianchi, che si è semplicemente rifiutato di distruggere gli archivi elettronici, come gli era stato ordinato. Ha compiuto un atto socialmente encomiabile, ma non riceverà mai una ricompensa (al di là dell’elogio sul Corriere della Sera). Anzi. Questo suo gesto lo renderà meno appetibile per futuri datori di lavoro, che preferiranno un dipendente leale a uno onesto. Lo stesso vale per i dipendenti Enron e WorldCom che hanno messo in luce gli scandali. Molti elogi sui giornali (perfino la copertina di Time), ma molte difficoltà sul lavoro.
Se il problema è che l’onestà non paga abbastanza, la soluzione è di aumentarne il rendimento per legge. Basta stabilire una ricompensa per chiunque permetta di far emergere una frode finanziaria, con un compenso proporzionato alla sua entità. Pensate forse che la truffa di Parmalat sarebbe durata quindici anni se ci fosse stata una ricompensa, diciamo del 10 per cento della dimensione della truffa, per chi avesse fornito informazioni utili alla sua identificazione? Sono pronto a scommettere di no.
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