Da La Stampa del 15/12/2003
Le facce del dittatore
di Pierluigi Battista
Il feroce tiranno, il massacratore che ha gasato migliaia e migliaia di curdi, il despota sanguinario ha oramai l’aspetto di un clochard malmesso, lacero e sporco, un poveraccio tirato fuori dal suo giaciglio di cartoni, scarto metropolitano con lo sguardo definitivamente spento e impaurito. Quei capelli arruffati, il barbone incolto (e brutalmente tagliato dai nuovi carcerieri), gli stracci malamente indossati, la remissività attonita e quasi narcotizzata del satrapo Saddam Hussein che aveva sfidato con baldanza il mondo intero, raccontano la più spettacolare metamorfosi di un personaggio-simbolo che nel cunicolo in cui è stato catturato ha perso la più devastante e decisiva delle guerre della modernità: quella dell’immagine. L’immagine di come finisce un dittatore, di come viene trascinato nella polvere, umiliato, sconfitto, cancellato, senza più alcun rapporto con il gagliardo e spietato condottiero di un tempo.
Di un dittatore come Benito Mussolini resta l’immagine di un corpo penzolante a testa in giù, sfregiato e oltraggiato, icona destinata a calamitare l’odio ma anche la pietà di chi non ha sopportato il rituale di ludibrio attraverso il quale gli italiani hanno voluto purificarsi da vent’anni di devozione e soggezione all’uomo finito nel disonore. Di Ceausescu (e della sua consorte), si ricorda, dopo le immani sofferenze inflitte al suo popolo, la figura smagrita e terrorizzata, infagottata in un cappotto troppo grande, prima schiacciata nell’umiliazione di un processo-farsa, poi stravolta nella smorfia cadaverica di un corpo crivellato dai colpi di un plotone di esecuzione. La fine di un tiranno è sempre una radicale svolta simbolica nella storia umana e chissà quali espressioni avranno avuto un attimo prima di morire Hitler o Stalin. Ma la fine ingloriosa di un boia che quasi muove a pietà ridotto a un miserabile dallo sguardo stralunato e avvolto dai cenci è il punto di non ritorno in cui sentimenti, risentimenti e paure assumono un carattere completamente diverso dal passato. La guerra in Iraq avrà ancora strascichi terribili e scorrerà altro sangue, ma il mito dell’invincibilità, la leggenda di un combattente ubiquo e invulnerabile si è definitivamente dissolta nell’immagine di un vecchio esausto che obbedisce docilmente come un automa ai suoi nuovi carcerieri. Spogliato dagli emblemi abbacinanti di un potere crudele e illimitato, Saddam Hussein diventa solo una figura patetica. A dimostrazione che le guerre non finiscono mai nello stesso modo. E nemmeno i più feroci dittatori.
Di un dittatore come Benito Mussolini resta l’immagine di un corpo penzolante a testa in giù, sfregiato e oltraggiato, icona destinata a calamitare l’odio ma anche la pietà di chi non ha sopportato il rituale di ludibrio attraverso il quale gli italiani hanno voluto purificarsi da vent’anni di devozione e soggezione all’uomo finito nel disonore. Di Ceausescu (e della sua consorte), si ricorda, dopo le immani sofferenze inflitte al suo popolo, la figura smagrita e terrorizzata, infagottata in un cappotto troppo grande, prima schiacciata nell’umiliazione di un processo-farsa, poi stravolta nella smorfia cadaverica di un corpo crivellato dai colpi di un plotone di esecuzione. La fine di un tiranno è sempre una radicale svolta simbolica nella storia umana e chissà quali espressioni avranno avuto un attimo prima di morire Hitler o Stalin. Ma la fine ingloriosa di un boia che quasi muove a pietà ridotto a un miserabile dallo sguardo stralunato e avvolto dai cenci è il punto di non ritorno in cui sentimenti, risentimenti e paure assumono un carattere completamente diverso dal passato. La guerra in Iraq avrà ancora strascichi terribili e scorrerà altro sangue, ma il mito dell’invincibilità, la leggenda di un combattente ubiquo e invulnerabile si è definitivamente dissolta nell’immagine di un vecchio esausto che obbedisce docilmente come un automa ai suoi nuovi carcerieri. Spogliato dagli emblemi abbacinanti di un potere crudele e illimitato, Saddam Hussein diventa solo una figura patetica. A dimostrazione che le guerre non finiscono mai nello stesso modo. E nemmeno i più feroci dittatori.
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