Da Corriere della Sera del 05/12/2003

Il progetto

Questa volta è una tappa necessaria verso Marte

Nel 1989 Bush padre annunciò un piano marziano da 400 miliardi di dollari. Al Congresso risero e tutto finì lì Adesso alla Nasa aspettano il nuovo piano finanziario

di Giovanni Caprara

E’ dagli inizi degli anni Ottanta, da quando il presidente americano Ronald Reagan lanciò il programma della stazione spaziale internazionale, che la Nasa aspetta il nuovo obiettivo strategico su cui concentrare le sue idee, i suoi sforzi e i suoi uomini. Nei cassetti per la verità, il nuovo piano c’è già da tempo. Il 5 agosto 1969, 14 giorni dopo lo storico sbarco di Armstrong e Aldrin sulla Luna, l’allora amministratore della Nasa Thomas Paine saliva i gradini del Congresso di Washington accompagnato da Wernher von Braun per illustrare il nuovo progetto sul quale impegnare la nazione: era lo sbarco umano su Marte immaginato per il 1981. Ma i senatori preoccupati della guerra in Vietnam suggerirono di lasciar perdere e di guardare, intanto, a una stazione spaziale. Poi, invece, si costruì la flotta degli shuttle ritenuta necessaria per i collegamenti con la futura stazione. Intanto, si studiava come concretizzare il sogno marziano. E le ipotesi considerate erano tre: preparare una spedizione che dalla Terra raggiungesse direttamente il Pianeta Rosso; raggiungere la stazione in orbita terrestre dove assemblare l’astronave necessaria e volare poi a destinazione; oppure andare prima sulla Luna e da lì compiere il grande balzo. L’ipotesi stazione cadde perché, per ragioni economiche, venne ridimensionata. Alla fine degli anni Ottanta, però, l’amministratore della Nasa James Fletcher a chi gli parlava di futuro amava rispondere che «la strada più breve per arrivare su Marte passava per la Luna». Nel decennio scorso, invece, prevaleva negli orientamenti (e nei progetti) un viaggio diretto perché più rapido e anche meno costoso.

Ma lo scenario internazionale, nel frattempo, mutava e così tornava a galla la via intermedia della Luna per due ragioni. La prima era legata allo sfruttamento di alcuni elementi presenti in buona quantità (ferro, manganese, alluminio e anche elio-3 per le future centrali a fusione nucleare terrestri). Sull’argomento si è iniziato a discutere animatamente dal 1994, quando a Beatemberg, in Svizzera, si tenne la prima delle periodiche riunioni dedicate all’esplorazione della Luna. Un trattato internazionale vieta lo sfruttamento dei corpi celesti, ma le idee sulla Terra sono ancora diverse. La seconda ragione, invece, è emersa dalla strategia lunare adottata dalle nuove potenze spaziali come il Giappone, la Cina e pure l’India (l’Europa è sempre stata distaccata). Queste guardano al nostro satellite naturale come un obiettivo strategico e quindi non è pensabile che gli Usa lo lascino in mani altrui.

Dopo il disastro di Columbia gli Stati Uniti si sono resi conto della necessità di compiere uno sforzo tecnologico per disporre di mezzi che più facilmente consentissero di controllare ed esplorare lo spazio; a partire da un’astronave nucleare. E a ciò stanno lavorando oggi alla Nasa. Pensando allo sbarco su Marte, transitando per la Luna. Ma per il piano strategico occorre una scelta politica precisa e praticabile. Non come quella che annunciò Bush padre nel luglio 1989 quando propose un piano marziano da 400 miliardi di dollari. Al Congresso risero. E tutto finì.

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