Da Corriere della Sera del 05/12/2003

Meglio parlarne, ma in Europa

di Sergio Romano

L’intervista al Corriere con cui il generale Leonardo Tricarico, consigliere militare di Palazzo Chigi, suggerisce leggi speciali per combattere il terrorismo e meglio proteggere il Paese in situazioni di pericolo non è piaciuta agli esponenti dell’opposizione e non piacerà a molti italiani. Abbiamo impiegato parecchio tempo a demolire le disposizioni più autoritarie del Codice Rocco. Abbiamo attraversato gli «anni di piombo» senza ricorrere alle leggi eccezionali che furono adottate in quel periodo dal governo tedesco. Abbiamo finalmente un Tribunale della libertà. Abbiamo da pochi anni una Agenzia per la privacy che ci protegge, almeno sulla carta (troppa, per la verità), da sguardi indiscreti. Ed ecco che un autorevole consigliere del presidente del Consiglio ci richiama all’ordine con brusche riflessioni sulla necessità di dare al Paese gli strumenti necessari alla sua difesa contro il terrorismo. Molti si chiederanno se dietro i suggerimenti di Tricarico e i ripetuti ammonimenti del ministro degli Interni negli scorsi giorni non vi sia una minore sensibilità per alcune fondamentali garanzie democratiche o il desiderio di convincere il Parlamento a stanziare maggior denaro per le forze di sicurezza. Forse, prima di dare giudizi affrettati, è meglio collocare l’intervista di Tricarico in un contesto più ampio. Non vi è democrazia occidentale, dopo l’11 settembre, che non abbia stretto i freni. Gli Stati Uniti lo hanno fatto con leggi che continuano a preoccupare l’opinione pubblica liberale (e il cenno a Guantanamo nell’intervista di Tricarico dimostra che il consigliere militare di Palazzo Chigi ne è consapevole). Ma anche altri Paesi di vecchia tradizione liberale hanno adattato le loro regole alla serietà dei rischi.

Per l’Italia il problema è particolarmente complicato. Non sappiamo ancora, nonostante gli sforzi di Francesco Cossiga, quali misure istituzionali e di emergenza dovrebbero venire adottate in caso di guerra. E una parte della classe politica sembra pensare che il miglior modo per esorcizzare i conflitti sia quello di non parlarne. E’ un errore. Non è necessario condividere la politica degli Stati Uniti in Iraq e la concezione americana del terrorismo per pensare che chiunque governi il Paese nei prossimi anni avrà l’obbligo di provvedere alla sua protezione.

Piuttosto che montare un processo al generale Tricarico, come è accaduto nelle scorse ore, converrebbe interrogarsi sul modo migliore per conciliare le esigenze della sicurezza con quelle della democrazia.

Occorre anzitutto che maggioranza e opposizione abbiano, in questa materia, il coraggio di deporre le armi. Il governo non può adottare misure restrittive senza discuterne con il centrosinistra. E l’opposizione non può, come ha fatto ieri, eludere il problema o servirsi dell’intervista di Tricarico soltanto per ostentare la propria indignazione e mettere il governo in imbarazzo. Se una questione è seria è necessario trattarla seriamente.

Occorre, in secondo luogo, che queste norme siano per quanto possibile conformi a quelle dei nostri partner. Tricarico pensa che le sedi in cui parlarne siano il G8 o la Nato: due istituzioni in cui l’America ha una posizione preminente e ci raccomanderebbe, con ogni probabilità, le misure adottate dal suo governo dopo l’11 settembre. Sarebbe meglio affrontare il problema all’interno dell’Unione europea. Ne avremmo molti vantaggi: un migliore coordinamento delle diverse politiche nazionali, un passo avanti verso la creazione dello spazio giuridico europeo e, infine, un corpo di norme più attente alla privacy e ai diritti civili di quelle adottate dall’altra parte dell’Atlantico.

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