Da La Stampa del 05/12/2003

I pilastri della ripresa

di Mario Deaglio

IL Presidente della Repubblica fa bene a mettere in guardia contro la retorica del declino: se si esamina il paese provincia per provincia, come il Presidente fa nelle sue frequenti visite sul territorio, si scorgono, infatti, prevalentemente imprese ben inserite nella realtà economica europea e mondiale, indizi di operosità e inventiva. L'economia italiana proprio non è da buttare.

Il vero problema italiano è però quello che non si vede, non quello che si vede: i settori in cui l'Italia continua ad eccellere sono sempre gli stessi mentre attorno a noi il mondo è cambiato. La meccanica e la moda sono apparentemente solide ma il mondo ha scoperto altre dimensioni produttive e attribuisce una minore importanza a questi settori.

Il tutto è complicato dallo sbriciolamento del valore del dollaro che danneggia direttamente la presenza delle imprese italiane sul mercato americano e favorisce la concorrenza, in Italia e altrove, dei paesi asiatici che mantengono la loro moneta ancorata al dollaro. Questa concorrenza diventa, inoltre, sempre più «cattiva» e sleale e le imprese hanno il diritto di essere tutelate di fronte a comportamenti, purtroppo dilaganti, come il puro e semplice furto del marchio «made in Italy» da parte di produttori di altri paesi.

Non possiamo però limitarci a sostenere l'esistente, a mettere in atto tutele doverose, a trastullarci con l'idea pericolosa di barriere doganali che fermino l'«invasione» straniera. E' un dato di fatto che, fuori dai suoi settori di eccellenza, l'Italia mette a segno risultati mediocri. Non basta rallegrarsi dei risultati ottenuti, con il pericolo di indulgere in una sorta di retorica dell'antideclino. Dobbiamo riflettere non già sui molti successi ottenuti ma anche su quelli non ottenuti o che ci stanno sfuggendo. Questa riflessione, purtroppo carente, dovrebbe costituire il sale del dibattito politico.

All'Italia non mancano energie ma spesso queste si logorano per le distorsioni e le strozzature del sistema e altri paesi hanno affrontato situazioni analoghe. Le imprese italiane pagano l'energia assai più dei loro concorrenti e devono sopportare costi assai maggiori per trasportare i propri prodotti. Si aggiunga una netta carenza di livelli di istruzione che, nell'economia di oggi, non può più essere superata semplicemente dal «genio italico» ma richiede un atteggiamento nuovo che induca gli italiani a considerare lo studio come un vero e proprio lavoro e non come un periodo di gioventù relativamente spensierato. La carenza si fa ancora più netta, infine, a livello di ricerca, nella quale i risultati si ottengono solo in tempi lunghi e richiedono risorse, sempre lesinate, in tempi brevi.

Energia e trasporti, istruzione e ricerca sono i quattro pilastri sui quali deve necessariamente poggiare la stessa sopravvivenza italiana in un mondo turbolento. Sta alle forze politiche non indulgere nelle malinconie del declino e costruire attorno a questi pilastri un programma al tempo stesso lungimirante e coerente.

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