Da Corriere della Sera del 15/10/2003

Anche il vicepresidente la aspetta con un mazzo di fiori

Teheran, folla in festa per Shirin Ebadi e il suo premio Nobel

All’aeroporto la gente grida: «Libertà e giustizia»

di Paolo Conti

La sua prima frase è stata degna di un leader politico, del capo di un’opposizione: «Spero che i prigionieri politici saranno liberati». Il ritorno del neo-premio Nobel Shirin Ebadi da Parigi a Teheran ieri sera si è trasformato in un eloquentissimo test a favore della democrazia e contro il regime degli ayatollah. Più di cinquemila persone (soprattutto donne e giovani studenti) hanno assediato l’aeroporto internazionale della capitale iraniana rispondendo a un tam tam sfuggito all’informazione ufficiale che ha minimizzato l’avvenimento. La mobilitazione è stata organizzata sui siti internet, dalle organizzazioni non governative, dal nuovo quotidiano progressista «Sharq» («Oriente»). È nato un comitato per l’accoglienza: parlamentari riformisti, scrittori, registi. Ed è stata questa folla a gridare «libertà e giustizia» all’arrivo di Ebadi che ha risposto: «Il premio appartiene a tutto il popolo iraniano, a chi sostiene i diritti umani e la democrazia. Il mondo riconosce la battaglia delle donne musulmane. Grazie, sarò sempre al vostro servizio». C’era anche il vicepresidente Mohammad Ali Abtahi con un gran mazzo di fiori, seguito da alcuni esponenti del governo: una scelta in extremis dopo tante giornate di ostile freddezza ufficiale. Un immenso ingorgo sulla via dell’aeroporto ha costretto centinaia di persone ad abbandonare l’automobile e a proseguire a piedi in mezzo a centinaia di fotografie della premiata trasformate in cartelli issati dalla folla. Importanti i colori adottati: rosso il velo di Shirin Ebadi, bianchi (in omaggio alla pace) quelli delle donne in festa. Niente nero, il colore «ufficiale» del corretto abbigliamento femminile iraniano dal 1979, l’anno della rivoluzione khomeinista. Un segnale che fa il paio con la decisione del premio Nobel di rispondere a Parigi alle domande della stampa di tutto il mondo a testa scoperta: a Teheran sono stati in tanti a interpretare il gesto come una silenziosa sfida al sistema. Ma Ebadi ha anche ripetuto più volte ieri sera «Allahu Akbar», ovvero «Dio è grande»: non c’è da stupirsi, la sua solida fede musulmana è una delle principali caratteristiche del personaggio.

Il sistema politico iraniano comincia ad avvertire chiaramente il contraccolpo del Nobel a Shirin Ebadi. Basta leggere le sprezzanti dichiarazioni rilasciate ieri dal presidente riformista Mohammad Khatami, riportate in un servizio del quotidiano britannico Guardian: «Sono contento che una nostra connazionale abbia vinto questo riconoscimento. E naturalmente me ne rallegro, spero che tale successo servirà gli interessi generale del popolo, della pace mondiale e dell'umanità. Ma il Nobel per la pace non è così importante, i riconoscimenti per la letteratura e la scienza lo sono di più». Per Khatami il Nobel per la pace viene attribuito «per ragioni politiche» ed ha ricordato i casi dei leader israeliani Menachem Begin e Shimon Peres e l’ex presidente americano Jimmy Carter. Più tardi, così riferisce il Guardian, gli uffici del presidente hanno chiesto ai giornalisti che avevano avvicinato Khatami di cancellare le dichiarazioni ma l’agenzia ufficiale Irna le aveva già messe in rete.

Il presidente ha inviato una specie di avvertimento a Ebadi: «Viene da una famiglia religiosa, spero che tenga presente gli interessi dell’Iran e del mondo islamico e non permetta che il premio venga strumentalizzato. Tutti i vincitori del premio devono denunciare i veri violatori della pace e dei diritti umani». E qui il presidente ha citato Stati Uniti e Israele, i due «demoni» ai quali si augura puntualmente «la morte» ogni venerdì alla preghiera dell’università di Teheran. Mai come ieri il progressista Mohammad Khatami è sembrato più vicino, nei suoi toni irritati, a quel mondo conservatore che egli stesso combatte dal 1997, l’anno della sua prima elezione alla presidenza che sorprese il mondo intero. Allora era lui il futuro dell’Iran. Oggi tocca a Shirin Ebadi interpretare l’ansia di nuovo ostinatamente soffocata dagli eredi della rivoluzione islamica.

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